Addio a Issey Miyake, lo stilista giapponese che ha segnato la storia della moda europea

«Non sono né uno scrittore né un teorico. Per una persona che crea cose, pronunciare troppe parole vuol dire regolare se stesso, ed è una prospettiva spaventosa», diceva Issey Miyake (nella foto in alto, accanto a una serie di capi ispirati alle bandiere nazionali). Il designer giapponese, mente eccelsa, uno degli inventori più duraturi e prolifici della moda contemporanea, si è spento il 5 agosto a Tokyo all’età di 84 anni a causa di un carcinoma epatocellulare. In silenzio, con la calma piena di forza e l’atteggiamento schivo che lo ha sempre caratterizzato. Una comunicazione ufficiale da parte della maison e del Miyake Design Studio, che fondò nel 1970, e nulla di più: non un funerale o altre commemorazioni.

Il segno dell’innovatore

La moda perde un innovatore autentico, che con infinito pragmatismo e semplicità piena di senso definiva la propria attività making things, fare cose. Nessun trucco, inganno, fanfara o storytelling, come usa oggi per mascherare una generale pochezza e mancanza di attenzione sul progetto degli oggetti, sulla loro forma. Al contrario, uno studio spasmodico di materiali e costruzioni. La principale ossessione di Miyake è sempre stata l’idea di creare capi che si adattassero perfettamente alle esigenze di chi li indossa, semplificando la vita. Non ha mai avuto bisogno di troppa teoria, o dichiarazioni assurde, per farlo. Issey Miyake è stato un progressista: mai nostalgico, mai retrò, mai ripetitivo. Risolutamente radicato nel momento, ha continuato a guardare avanti piuttosto che indietro, alimentando le proprie riflessioni con una acuta consapevolezza delle tradizioni e del passato.

Purezza delle forme e ricerca di essenzialità

Miyake, infatti, ha plasmato il futuro del vestire riconnettendosi con forme ancestrali e quasi primordiali nella loro purezza, aggiungendo una torsione tecnologica. La sua ricerca è stata guidata dall’impulso di creare soluzioni di abbigliamento radicali che rispondessero a funzioni specifiche: forme creative ma pratiche, cose che rendono l’esistenza semplice. Questo equilibrio tra creatività e pragmatismo è stato una conquista creativa senza precedenti, se si considera quanto i designer possano lasciarsi trasportare dal piacere di sacrificare la funzione alla forma in nome dell’originalità. È stato anzi il segno dell’eccellenza di Miyake, apprezzata e premiata in tutto il mondo.

Un magico incontro tra culture, tra Oriente e Occidente

Fu il primo fashion designer a finire sulla copertina di Artforum con un body di rattan. Pleats Please, Apoc e Homme Plissè hanno riscritto la maniera generale di vestire. Lo spettro della ricerca di Issey Miyake è stato vasto e personale, con una adamantina coerenza di fondo data dalla volontà di mettere al centro la persona, non l’ego del designer. Nel suo irremovibile rispetto per l’essere umano, Miyake è stato figura solitaria: un araldo silenzioso di valori profondamente umanistici. Il suo lavoro non si è concentrato su formalità, eleganza o mera forma, ma sui bisogni umani e come un designer può rispondervi, radicalmente. Seguendo questo percorso, Miyake ha adottato la prospettiva e la posizione di un designer puro, creando non abiti, ma strumenti che consentono a chi li indossa di affrontare la vita sociale senza sentirsi in maschera o, peggio, posseduti da vestiti scomodi e opprimenti. In questa sottigliezza psicologica, Issey Miyake ha operato un miracoloso incrocio di culture, epoche e stili, sposando Oriente e Occidente, passato e futuro. Ad alimentare il suo processo creativo, qualcosa di semplice come la curiosità. «È per curiosità che andiamo avanti, perché ci porterà sempre allo sviluppo successivo», era solito dire. Mancherà una mente così brillante, la vivacità dello sguardo, l’apertura.

Fonte: Il Sole 24 Ore