Ai consiglieri comunali bastano tre minuti per il gettone di presenza

Una firma messa al volo prima dell’inizio della seduta delle commissioni permanenti in comune solo per avere il gettone di presenza, e poi via ad occuparsi di altro che non sia la cosa pubblica. Una prassi, ad avviso della Corte territoriale, seguita dagli ex consiglieri del comune di Messina, per «deprecabili ragioni di arricchimento personale». E la Corte di Cassazione, con la sentenza 32768, conferma la condanna per truffa ai danni di un ente pubblico.

A causa della genericità del regolamento comunale, che non fissava termini e modalità della partecipazione, già dalla Corte d’Appello era stata esclusa la possibilità di censurare l’operato di chi, dopo la firma, si era fermato per meno di tre minuti. Un comportamento che era stato, al contrario, considerato penalmente rilevante dal Tribunale. La Corte territoriale aveva riformato la decisione di primo grado perché, in assenza di una normativa, il parametro che fissava il tempo in almeno tre minuti di permanenza in seduta, violava le prerogative dei consiglieri. L’attenzione della Corte d’Appello si appunta dunque su chi firmava e ”fuggiva”.

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Per i consiglieri era un modo di fare politica….

Creativa la difesa degli ex amministratori locali che avevano criticato l’operato dei giudici di secondo grado perché li avevano condannati senza considerare che l’attività politica si può svolgere in tante forme, anche non convenzionali. E tra queste poteva rientrare anche l’abbandono delle occupazioni personali per recarsi presso la sede del Comune, sia pure senza partecipare ai lavori delle commissioni, ed allontanarsi prima dell’apertura delle relative sedute, senza neppure verificare il raggiungimento del numero legale.

…la risposta della Suprema corte

Un argomento che la Cassazione non si sente di condividere. Per i giudici di legittimità è indubitabile che si possa fare politica in molti modi, non sindacabili dall’autorità giudiziaria. È però ben difficile – sottolinea la Suprema corte – dare una valenza politica «ad un’attività, quale la sottoscrizione di un foglio presenze ad una seduta alla quale, invece, non si intende presenziare, se tale condotta non viene nemmeno pubblicizzata, né risulta in alcuna sede specificato il solo astrattamente ipotizzato valore politico della stessa». Quello che invece si coglie è il valore penale della condotta, che non rientra nel reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche, ma nella truffa, per l’induzione in errore dell’ente erogatore. Ed è ininfluente che i segretari fossero o meno al corrente della prassi seguita.

Fonte: Il Sole 24 Ore