Aziende al bivio dopo il lavoro ibrido: competenze, coinvolgimento e sostenibilità per non perdere la strada

E chi l’avrebbe detto? Se riavvolgiamo il nastro a 24 mesi fa, l’idea che open space ed uffici si potessero ripopolare completamente appariva (per ovvi motivi) ancora lontana. Il management si districava fra impellenze operative e la gestione di risorse umane attive principalmente da remoto, l’attività in presenza era frazionata e limitata e la possibilità di aggiungere flessibilità alla svolgimento della professione uno dei temi chiave del post pandemia.

La trasformazione profonda nel mondo del lavoro

Lo scenario attuale ci conferma come il processo di trasformazione del mondo del lavoro sia sempre più profondo, perché si è fatta strada la consapevolezza di un cambiamento utile nonché necessario e ha preso forza il paradigma secondo cui agilità e modelli innovativi (e alternativi a quelli tradizionali) sono parte integrante dell’organizzazione di domani, tanto che in Italia, in particolare, il 64% delle aziende sta già definendo le modalità di impiego del futuro, intese come nuovi approcci operativi in grado di rispondere alle esigenze delle persone.

Il dato in questione emerge da uno studio, il Global Human Capital Trends Report 2023 di Deloitte, che ha cercato di fotografare per l’appunto lo stato di maturità delle aziende (anche italiane) rispetto alle tematiche del lavoro ibrido e della valorizzazione delle competenze, indipendentemente dai ruoli ricoperti.

Dal lavoro agile non si torna indietro

Un aspetto che emerge chiaramente dall’analisi riguarda in particolare la propensione dei lavoratori a tornare al passato: nel complesso, due rispondenti su tre a livello globale sarebbero pronti a dimettersi in caso di rientro full-time in ufficio mentre restringendo il campione ai rappresentanti della Gen Z e dei Millennials un terzo lascerebbe la propria occupazione anche in assenza di un’altra offerta.

Rimanendo al cluster italiano, l’obiettivo di accelerare l’incontro e la combinazione tra nuove opportunità lavorative e competenze attese si riflette nella percentuale di rispondenti – il 96% – che ritiene fondamentale l’avvicinamento a un modello di gestione della conoscenza skill-based, e quindi l’elevare a priorità la volontà di apportare valore alle persone partendo dalle capacità e dalle attitudini del singolo individuo, e non necessariamente dalla funzione svolta in azienda.

Fonte: Il Sole 24 Ore