Blue food, si punta a ridurre i casi di malnutrizione a 166 milioni entro il 2030

Il “cibo blu” come risposta alla domanda alimentare globale in costante crescita. Secondo l’Onu, entro il 2050, la popolazione mondiale sfiorerà quota 10 miliardi, con effetti diretti sull’accesso alle risorse alimentari, oltre che sull’ambiente. Per garantire cibo a sufficienza alle generazioni future e minimizzarne l’impatto sull’ecosistema, una soluzione è rappresentata proprio dagli alimenti acquatici: animali, piante e alghe coltivati e catturati in acqua dolce e in altri ambienti marini. Ad affermarlo sono gli oltre 100 scienziati, provenienti da 25 Paesi diversi, che hanno dato vita al Blue Food Assessment (Bfa), in collaborazione con lo Stockholm Resilience Centre, la Stanford University e l’EAT. Da ricordare che il secondo goal dell’Onu, da raggiungere entro il 2030, è “Sconfiggere la fame”.

Bfa nasce proprio con l’obiettivo di valutare il ruolo che gli alimenti acquatici possono svolgere per ottenere diete più sane e un sistema alimentare resiliente, equo e più sostenibile. Nato lo scorso giugno, conta già diverse pubblicazioni su Nature relative al cibo blu, che – grazie anche al ricorso alle nuove tecnologie – consentirebbe un abbattimento dei costi di produzione del 26% entro il 2030, favorendo una riduzione dei casi di carenze nutritive. Infatti, un incremento dell’8% della produzione, pari a 15,5 milioni di tonnellate, entro il 2030, ridurrebbe i casi di malnutrizione a quota 166 milioni.

Le cinque priorità

Cinque le priorità: riconoscere e integrare questi alimenti nel sistema alimentare globale, investire in questa direzione, riformare politiche e pratiche della pesca, prestare maggiore agli attori più piccoli della filiera, aumentare il coinvolgimento delle donne, che costituiscono quasi il 50% dei pescatori di cibo blu con una parte limitata nel processo decisionale.

Investire nello sviluppo di questa industria, secondo gli studiosi, consentirebbe di favorire la tutela della diversità delle specie alimentari. Quasi il 75% del cibo consumato a livello globale proviene solo da dodici piante e cinque specie animali. L’ecosistema marino offre una varietà di oltre 2.500 qualità che possono fornire un’ampia gamma di minerali, vitamine e macronutrienti, con il duplice beneficio, quindi, di offrire anche un elevato contenuto nutrizionale.

Impronta ambientale ridotta

Infine, il cibo blu ha una impronta ambientale ridotta. Non solo produce minori emissioni di gas serra e inquina meno, ma il ricorso alla terra e alle risorse idriche è limitato rispetto agli alimenti animali terrestri.

Fonte: Il Sole 24 Ore