Come può aiutare il Recovery Fund a produrre il vaccino in Italia?

Si potrebbe finanziare in tutto o in parte la riconversione di alcuni siti produttivi (da individuare all’interno delle varie aree geografiche) per la produzione di vaccini? Nelle linee guida messe a punto dalla Commissione europea per l’avvio della fase che condurrà entro aprile alla presentazione aggiornata e definitiva del Recovery Plan, il tema del sostegno alla salute e ai sistemi sanitari è espressamente citato all’interno delle priorità del Next Generation Eu. È ormai chiaro che la battaglia con la pandemia la si vincerà quando saremo in grado di poter contare su un numero sufficiente di vaccini. La distribuzione centralizzata a livello europeo è un segnale importante che punta a non penalizzare i paesi “minori”, sta però mostrando in questa delicata fase di avvio della campagna vaccinale ritardi, determinati per gran parte dal taglio delle dosi preventivate soprattutto da parte di AstraZeneca e Sputnik. L’impegno della Commissione UE all’incremento dei vaccini è il tema prevalente del Consiglio europeo straordinario in programma per oggi e domani, preceduto da una conversazione telefonica tra il presidente del Consiglio, Mario Draghi e il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel. L’obiettivo è accelerare al massimo la somministrazione dei vaccini, in quella che è ormai una vera corsa contro il tempo.

Prima tranche tra giugno e luglio

Il timing messo a punto da Bruxelles prevede che una volta notificata, da parte di tutti i Paesi europei, la ratifica all’aumento delle risorse proprie nel bilancio pluriennale 2021-2027 (condizione indispensabile per far partire l’operazione), si proceda al finanziamento della prima tranche di aiuti (prestiti e sovvenzioni) attraverso l’emissione e il collocamento sul mercato di bond emessi dalla stessa Commissione Ue con il sostegno di tutti gli Stati membri. Se non interverranno ostacoli, si ipotizza che la prima tranche delle risorse del Next Generation Ee cominci a essere erogata a ridosso della prossima estate. Secondo l’intesa sottoscritta a livello europeo, con l’aggiunta dell’ulteriore percentuale chiesta dal Parlamento europeo, la prima erogazione dei fondi dovrebbe attestarsi attorno al 13% del totale assegnato al nostro Paese, dunque 27 miliardi. È ipotizzabile che una parte di questi fondi possa essere “opzionata” per far fronte ai costi di riconversione degli impianti?

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I vincoli di destinazione delle risorse europee

Già nelle linee guida rese note a settembre 2020 è previsto che almeno il 20% degli investimenti debba essere utilizzato per finanziare il piano di “transizione digitale”, mentre il 37% sarà vincolato alla realizzazione di progetti “green”. La strada per l’eventuale utilizzo di parte delle risorse europeo per la produzione dei vaccini passa attraverso l’affermazione del principio che il graduale superamento dell’emergenza, e con esso le chance di superare la gravissima crisi economica e sociale in atto passa prima di tutto dalla capacità di incrementare le dosi di vaccino. Da questo punto di vista, non dovrebbero almeno sulla carta emergere ostacoli insormontabili: la tutela della salute è assolutamente prioritaria e l’accelerazione della campagna vaccinale è la precondizione essenziale per ripartire. La strada è quella dell’utilizzo, sotto la voce “investimenti”, di risorse destinate alla riconversione dei siti produttivi con l’annessa ricaduta in termini occupazionali. Da ultima la presidente della Bce, Christine Lagarde ha osservato come la ripresa dell’economia europea sia strettamente connessa alla “velocità nelle vaccinazioni” e ai tempi di erogazione dei fondi del Next Generation Eu.

Potrebbe riproporsi il ricorso al Mes

In realtà, il veicolo finanziario per far fronte ai costi “diretti e indiretti” della pandemia c’è già. Si tratta della nuova linea di credito del Meccanismo europeo di stabilità messa in campo fin dalla primavera del 2020, con l’obiettivo appunto di sostenere i sistemi sanitari europei duramente colpiti dall’emergenza. Finora nessun paese vi fa tatto ricorso. E il motivo va ricercato, più che nella cattiva “reputazione” del Mes (il cosiddetto effetto stigma evocato a più riprese soprattutto nel nostro Paese), quanto nelle modalità di finanziamento di quello che comunque è un prestito (nel nostro caso 37 miliardi). Alle attuali livelli dei tassi di interesse, finanziarsi sul mercato soprattutto a breve avviene per gran parte dei paesi europei a condizioni di assoluto favore, in molti casi a tassi negativi. Resta però un’ipotesi che potrebbe riemergere dal faticoso e a tratti strumentale dibattito politico nostrano, considerato che comunque il ricorso al Mes avverrebbe a tassi di interesse di poco superiori allo zero.

Fonte: Il Sole 24 Ore