Covid, la sindrome infiammatoria che colpisce i bambini ha una causa genetica

Ha una causa genetica la sindrome infiammatoria multisistemica (MIS-C), che colpisce bambini e adolescenti che hanno contratto il Covid ed è possibile identificarla in tempi congrui, in modo da avere una gestione terapeutica personalizzata e precoce con cure già note, scegliendo quella più appropriata. I due dati emergono da uno studio scientifico realizzato dal centro di ricerca Ceinge – Biotecnologie avanzate di Napoli, in collaborazione con l’ospedale pediatrico partenopeo Santobono- Pausilipon.

Che cos’è la sindrome infiammatoria multisistemica

Nel corso della pandemia Covid, sono state rilevate complicanze anche nella platea di pazienti in età pediatrica, una di queste è la sindrome infiammatoria multisistemica. Si tratta di una complicanza rara e severa, che compare dopo un periodo abbastanza lungo, da due fino a sei settimane, dall’infezione acuta di Sars-Cov-2. Si manifesta con febbre alta e sintomi gastrointestinali e può coinvolgere diversi organi: cuore, reni, polmoni. Colpisce il 2% bambini che contraggono il Covid. I ricercatori hanno anche identificato dei biomarcatori utili all’identificazione tempestiva delle mutazioni, aspetto fondamentale per un management terapeutico personalizzato.La ricerca è stata finanziata dalla Regione Campania e pubblicata da due riviste scientifiche: Frontiers in Immunology (MIS-C: A COVID-19-associated condition between hypoimmunity and hyperimmunity) e Metabolites (Biomarkers of Endothelial Damage in Distinct Phases of Multisystem Inflammatory Syndrome in Children).

La scoperta della causa genetica

«Abbiamo studiato 45 bambini che hanno avuto questa complicanza importante e abbiamo studiato due cose. La prima: il profilo di 400 geni che si associano a malattie e disordini immunitari e abbiamo visto che 10 di questi geni si collegano all’aumentato rischio di sviluppare la MIS-C», spiega Giuseppe Castaldo coordinatore dello studio del Centro di biotecnologie avanzate e professore di Scienze tecniche di Medicina di laboratorio presso l’Università Federico II di Napoli. «Siamo giunti – continua Castaldo – a risultati che mostrano chiaramente come la MIS-C sia associata a mutazioni nei geni già implicati nelle malattie auto-immuni ed auto-infiammatorie, grazie a strumentazioni di ultima generazione e abbiamo visto che durante la fase acuta dell’infezione COVID-19, nei bambini portatori dei tratti genetici descritti, non avviene una eliminazione completa del virus. Ciò provoca il danno dei tessuti e innesca la risposta immunitaria iper-reattiva tipica della Sindrome».

Possibile in futuro capire chi è più a rischio

L’applicazione di questo studio, in futuro, darà la possibilità di identificare chi ha un rischio più alto di sviluppare la Mis-C, tramite l’analisi di alcuni geni, già durante il covid acuto, e quindi di informare i genitori sui sintomi e su come comportarsi.Quanto all’altra parte dello studio, «per i pazienti che hanno già la sindrome infiammatoria multisistemica, nel momento in cui avviene il ricovero – prosegue il docente Castaldo – si potrà studiare il pannello di esami di laboratorio, per capire in ogni singolo bambino quale è la principale alterazione infiammatoria dal punto di vista biologico. E possiamo così immaginare una terapia appropriata con farmaci biologici». Più nello specifico, l’attenzione dei ricercatori è stata focalizzata sugli eventi di vasculite endoteliale che, insieme allo stato infiammatorio acuto, rappresentano segni distintivi del COVID-19 e della MIS-C e possono causare eventi di trombosi venosa e arteriosa. Questo ha permesso di identificare alcune proteine coinvolte nei processi di danno endoteliale come potenziali biomarcatori della MIS-C. «Il dosaggio di tali proteine permetterebbe non solo di diagnosticare la MIS-C, ma anche di individuare un potenziale sviluppo di vasculite. Di conseguenza– afferma ancora Castaldo – l’identificazione precoce dei pazienti con danno endoteliale consentirebbe di definire terapie personalizzate, come la profilassi con anticoagulanti, immunomodulatori e farmaci anti-angiogenici».

Fonte: Il Sole 24 Ore