Data center, una filiera che al 2030 può valere 200 miliardi e l’8% del pil
Una filiera da oltre 200 miliardi al 2030 (contro i 60 di oggi), con un peso sul pil vicino all’8% (dal 2,8%) e che potrebbe contribuire, nel 2035, fino al 15% della crescita dell’economia, abilitando oltre 150mila posti di lavoro e recuperando calore di scarto, di fatto decarbonizzato, sufficiente a soddisfare i fabbisogni di 800mila famiglie. Con Milano e la Lombardia in pole position per diventare un nuovo polo strategico europeo. E’ questo, in estrema sintesi, il potenziale percorso di sviluppo della cosiddetta “Data Economy” tricolore descritto dal position paper “L’Italia dei data center. Energia, efficienza, sostenibilità per la transizione digitale” realizzato da TEHA Group in collaborazione con A2A e che verrà presentato oggi al Forum di Cernobbio dal top management del gruppo, il Ceo Renato Mazzoncini e il presidente Roberto Tasca, e dal senior partner di TEHA Lorenzo Tavazzi.
Al di là dello snocciolare freddi numeri – le proiezioni nel medio periodo sono sempre soggette a oscillazioni e sorprese (in positivo o in negativo) – l’obiettivo dello studio è dimostrare un concetto ben preciso. Ovvero che affrontare le sfide poste dalla rapida espansione della Data Economy (di cui il boom di richieste di allacciamento a Terna è solo la punta dell’iceberg) con una pianificazione strategica integrata, può permettere allo stessa uno sviluppo sostenibile, rendendo i data center non solo infrastrutture tecnologiche strategiche, ma veri e propri abilitatori di benefici ambientali sociali ed economici, e dunque in grado di contribuire attivamente al sistema producendo energia e riducendo consumi ed emissioni. La sfida, in sostanza, è riuscire a trasformare impianti altamente energivori (nel 2035 potrebbero raggiungere il 4% dei consumi elettrici globali, il 13% in Italia) in alleati della sostenibilità urbana. Nonché individuare soluzioni per evitare possibili riflessi negativi sulla transizione energetica, considerato che l’elettrificazione spinta non potrà essere soddisfatta soltanto con le rinnovabili ma riporta in voga i nuovi cicli combinati a gas ad alta efficienza, e per rimediare ai fortissimi consumi d’acqua (ancora con poche soluzioni) e al consumo di suolo, che può essere alleviato dall’utilizzo di aree brownfield.
La traiettoria di crescita
Presupposto del position paper è che i numeri indicano un percorso di fortissima crescita per i data center. Certo, qualche segnale di surriscaldamento c’è, se è vero che nelle ultime settimane sia Sam Altman sia il Mit hanno evidenziato un eccesso di euforia sul mondo della IA, pilastro della Data Economy. Tuttavia, l’espansione della connettività globale ha ormai trasformato i data center stessi in infrastrutture imprescindibili per i servizi digitali, la gestione dei flussi informativi e la sicurezza delle comunicazioni.
In Italia, si stima che al 2035 la potenza installata potrebbe raggiungere i 2,3 GW in uno scenario tendenziale e i 4,6 GW in una prospettiva “full potential” (contro i 513 MW di fine 2024): di riflesso i relativi consumi elettrici vengono previsti tra il 7% e il 13% del totale nazionale. Un ritmo di sviluppo serrato che, secondo lo studio, avrebbe un impatto economico rilevante. Se nel 2024 la Data Economy italiana valeva 60,6 miliardi, pari al 2,8% del pil, solo raggiungendo i best performer tra i Paesi europei si potrebbe arrivare a 207 miliardi entro il 2030. Lo sviluppo del settore potrebbe contribuire alla crescita annuale del pil: la stima va dal 6% nello scenario tendenziale al 15% in quello di pieno sviluppo, con l’abilitazione rispettivamente di 77mila e 150mila posti di lavoro diretti, indiretti e indotti.
Fonte: Il Sole 24 Ore