«Diritto di tappo» e grandi etichette, ecco perché per bere bene è meglio il ristorante

Il prezzo delle bottiglie nelle carte dei vini dei ristoranti è spesso tema di discussione in quanto soggetto a rincari significativi, se confrontato con quello degli scaffali delle enoteche. Per non parlare del raffronto con l’acquisto diretto nelle cantine da parte dei privati. I produttori vitivinicoli tuttavia – salvo smentita – quando vendono al cliente privato attraverso gli store aziendali, lo fanno nel rispetto degli accordi stabiliti con i rivenditori ufficiali: enoteche, distributori o ristoranti che siano.

Venendo al dunque, quando si parla di grandi vini, ovvero di etichette obiettivamente costose, molti cultori scelgono di conservare e consumare le bottiglie a casa propria. Altro discorso è quello del collezionismo che muove su binari e finalità completamente diverse. In alternativa, qualcuno dei sopracitati cultori/consumatori invoca l’estensione del “diritto di tappo”, usanza che nei ristoranti si sta diffondendo soprattutto negli Usa, ma non solo. Funziona così: il cliente, in fase di prenotazione del tavolo richiede la possibilità di portarsi da casa le bottiglie di vino che intende consumare nel corso della serata. Il ristorante applica un costo detto appunto “diritto di tappo” che include il servizio, i calici adeguati e le professionalità del personale di sala.
Può sembrare tutto molto democratico, ma sarebbe come accettare il fatto che ci si presenti al ristorante con gli ingredienti della propria dispensa, relegando un team di professionisti al ruolo di servitori e non più di consiglieri e specialisti dell’accoglienza.

Indipendentemente dalla dotazione delle nostre cantine di casa, credo che i vini vadano acquistati nelle carte dei ristoranti e – salvo alcune eccezioni che riguardano catene di albergo di lusso internazionali e alcuni stellati – in Italia i ricarichi sono molto più bassi che altrove. Aprire una bottiglia di vino al ristorante, infatti, è un gesto che crea un rapporto personale con qualcuno che ci applica un determinato trattamento. Qualcuno appunto, non qualcosa, trattandosi di una persona in carne ed ossa e non di un distributore automatico di noccioline o sigarette.

Peraltro, a sostegno di questa tesi, ampia o angusta che sia la nostra cantina, essa non ci permetterà di spaziare nella scelta e, dato non meno importante, di cambiare un vino “difettoso” a costo zero: cosa che avviene normalmente nei ristoranti Italiani (in quelli francesi un po’ meno).Prima di conservare e poi stappare una grande bottiglia a casa dunque, ricordiamoci sempre di quanto sia importante l’intermediazione di quei professionisti che vendono etichette di prestigio – seppur a costi innegabilmente più elevati – sapendoci dare indicazioni sul giusto abbinamento al piatto o sul punto di bevuta (né troppo vecchio, né troppo giovane). Così facendo andiamo a creare un rapporto umano e commerciale di reciproca convenienza, ma anche di convivialità. Ovvero ciò che, alla fine, rende speciali le nostre tavole italiane, in barba al “diritto di tappo”!

Fonte: Il Sole 24 Ore