Dop, ecco come il controllo della produzione contrasta gli effetti della pandemia

Da strumento per la regìa produttiva di una denominazione a vera e propria “rete di sicurezza” che di fronte alla più inaspettata delle crisi, quella legata alla pandemia, ha consentito di mantenere gli equilibri all’interno delle filiere dei prodotti alimentari Dop e Igp.

Sono i Piani di regolazione dell’offerta, strumenti sperimentati da alcune grandi Dop (come Grana padano, Prosciutto di San Daniele) già alla fine degli anni 90 ma autorizzati da Bruxelles solo con il “Pacchetto qualità” del 2012. Sono uno oggi strumento di gestione chiave per i prodotti a denominazione d’origine (piani triennali modificabili annualmente) che ha inoltre dimostrato la propria valenza strategica di fronte alla crisi pandemica.

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Una crisi che fin dal lockdown della scorsa primavera ha indotto importanti cambiamenti nelle dinamiche di mercato e nelle abitudini d’acquisto dei consumatori con la chiusura di bar e ristoranti (che a dieci mesi dall’inizio della crisi ancora stentano a ripartire) concentrando le vendite sugli scaffali della grande distribuzione.

Cambiamenti che in molti casi è stato possibile fronteggiare grazie allo strumento dei Piani di regolazione dell’offerta mentre, d’altro canto, con le risorse legate ai meccanismi di contribuzione previsti dagli stessi piani saranno finanziate massicce campagne promozionali per il rilancio delle vendite.

Tra i primi a intervenire tempestivamente già nella prima fase dell’ondata pandemica il Consorzio del Grana padano Dop il cui Cda in una prima fase e in via precauzionale ha disposto un taglio della produzione del 3% e destinato 120mila forme di Grana padano a «riserva 20 mesi e 24 mesi», alleviando così la pressione sull’offerta. Tagli che successivamente sono stati riassorbiti. «Sul mercato – ha commentato il direttore del Grana padano (5,1 milioni di forme prodotte, +2%), Stefano Berni – il forte aumento dei consumi delle famiglie ha determinato un incremento delle vendite nella grande distribuzione (+7,1%) che ha compensato le perdite nella ristorazione. Un equilibrio testimoniato dalle quotazioni: il Grana padano con 9 mesi di stagionatura in primavera era quotato 6 euro al chilo, a fine anno il prezzo è cresciuto del 25 per cento».

Fonte: Il Sole 24 Ore