Emozioni forti con «È stata la mano di Dio», il nuovo, grande film di Sorrentino

Un esempio di grande cinema: non è soltanto uno dei film più rilevanti della settimana, ma dell’intera stagione, «È stata la mano di Dio», nuovo, importantissimo lungometraggio firmato da Paolo Sorrentino.
Per il regista napoletano questo film è un vero e proprio ritorno a casa: non solo per l’ambientazione nella sua città d’origine, ma perché buona parte della narrazione è ispirata direttamente alla sua vita e ai suoi ricordi, seppur filtrati attraverso la lente dell’immaginazione, uniti poi a storie inventate o che gli sono state raccontate da altre persone.

Siamo negli anni Ottanta e il giovane Fabietto è in cerca di un proprio posto nel mondo. Due eventi sono pronti a sconvolgere la sua intera vita: il primo è l’arrivo a Napoli di Maradona, il secondo una tragedia personale che lo farà a crescere prima del tempo.È quantomeno curioso che, se contassimo il precedente «Loro» come un doppio film (esattamente com’è uscito nelle sale), «È stata la mano di Dio» sia il decimo lungometraggio firmato da Sorrentino e forse il numero non è un caso, dato che fin dal titolo c’è un esplicito riferimento proprio a Diego Armando Maradona.

Un potente racconto di formazione

È un vero e proprio racconto di formazione «È stata la mano di Dio», titolo dalla doppia valenza che fa riferimento sia al gol segnato con la mano da Maradona ai mondiali del 1986, sia al fatto che Fabietto (e lo stesso Sorrentino) si sia salvato proprio grazie a una partita del Napoli. I genitori del regista morirono nel sonno asfissiati dal monossido di carbonio mentre si trovavano in vacanza a Roccaraso: il figlio doveva essere con loro, ma quella volta non li aveva seguiti perché il padre gli aveva permesso di andare a vedere la sua squadra del cuore in trasferta allo stadio.

Sorrentino va a sublimare questa e altre esperienze intime in un lungometraggio girato con una maestria tecnica invidiabile: basta la prima, bellissima sequenza per trasportarci immediatamente nel racconto, grazie a un movimento della cinepresa che dal mare ci porta a Napoli (città in cui il regista non girava film da vent’anni, dai tempi del suo esordio con «L’uomo in più»).

Alternando momenti davvero divertenti (i pranzi della variopinta famiglia del protagonista, in primis) con sequenze drammatiche e commoventi (l’ultimo incontro con la zia, ad esempio), «È stata la mano di Dio» è una girandola di emozioni incisiva, capace di rimanere impressa molto a lungo al termine della visione.

Fonte: Il Sole 24 Ore