Ernesto Colnago, il rivoluzionario della bicicletta

Da un’officina di 5 metri per 5 a Cambiago, Lombardia felix, fino al MoMa di New York, pedalando per migliaia di chilometri fra dedizione e passione. Quella che Ernesto Colnago aveva messo per costruire la bicicletta con cui – ottobre 1972 – Eddy Merckx cavalcò verso il record dell’ora e che il MoMa espose quasi fosse un trofeo di bellezza. Insomma, un successo planetario come quello delle bici che dal 1954 escono, asso di fiori sul tubolare, dalla Colnago, molto più di un marchio di biciclette, qualcosa che è sinonimo di italianità quanto la Ferrari, la Traviata o Paolo Rossi.

Il «sciur» Ernesto

Questa storia d’amore andava raccontata: Ernesto Colnago lo fa nel libro Il Maestro e la bicicletta, in una conversazione con Marco Pastonesi, il miglior aedo italiano delle due ruote. Che lo descrive così: «Colnago, l’Ernesto, il sciur Ernesto, non è solo meccanico, telaista, industriale: è creatore, sacerdote, profeta, è testimone, ministro, ambasciatore, è eroe, mito, leggenda. È una via di mezzo fra Eta Beta e mastro Geppetto, Vulcano ed Eolo, Galileo ed Einstein».

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Nato nel 1932, figlio di Antonio, contadino, ed Elvira, regina della casa, l’Ernesto inizia a lavorare a 10 anni alla Gloria. Saldatore prima, montatore dopo: «non mi sentivo sfruttato, ma privilegiato» e corre in bici all’Unione sportiva Aurora di Concorezzo. Vince una dozzina di gare ma al professionismo non sarebbe mai arrivato.

Da Fiorenzo Magni a Tadej Pogacar

Il suo intuito, però, è da professionista: infortunato, monta ruote a casa e scopre di guadagnare, così affitta una stanza in viale Garibaldi 10 dove il sogno, bici dopo bici, prende forma. Le sue vittorie sono tante, tutte per interposte gambe: in bacheca Colnago ha 61 titoli mondiali e 18 olimpici. E i ciclisti ai quali ha dato il mezzo e l’entusiasmo sono decine, fino allo sloveno Tadej Pogacar, vincitore dell’ultimo Tour: «Bici e corridori, da padre di famiglia – ed è la famiglia del ciclismo – li sento tutti miei figli. Ma le biciclette – le considero creature, non creazioni – sono figli, o meglio figlie naturali, invece i corridori sono figli adottati. C’è una bella differenza».

In principio, 1955, fu Fiorenzo Magni. Quello che diventerà il Leone delle Fiandre era fermo ad un abbeveratoio durante un allenamento, si lamentava per un dolore alla gamba. Ed Ernesto, timidamente, gli fa notare che la pedivella, storta, impedisce una pedalata rotonda. Magni sorride ma lo segue in officina: limata la pedivella, il dolore se ne va. Inizia così il primo giro d’Italia di Colnago come meccanico. Fra telai, cerchi, manubri il suo occhio fa la differenza, è un pranoterapeuta delle due ruote: «Per concepire e creare una biciletta io parto da un disegno. E il disegno parte da una sensazione. E la sensazione parte da una visione, da un profumo, da un colore. Anche da un confronto, da uno scambio, da una parola, da una ipotesi, da un incontro».

Fonte: Il Sole 24 Ore