Evergrande non deve fallire: Pechino spinge sulla ristrutturazione del debito

Per Evergrande, seconda società immobiliare cinese, il salasso è continuo, anche un grande investitore come Joseph Lau attraverso la moglie Chan Hoi Wan ha venduto 11,2 milioni di azioni. Un pessimo segnale per il gruppo stretto tra l’impossibilità di fallire senza trascinare nel baratro tutto l’immobiliare cinese e la difficoltà di mettere a punto un nuovo piano di ristrutturazione. Le autorità centrali hanno chiaramente ammesso che non ci sarà salvataggio ma al tempo stesso che Evergrande in buona sostanza non deve fallire.

Il terrore finanziario corre sul mattone

La Cina vanta un mercato finanziario da 54 trilioni di dollari che potrebbe essere messo seriamente a rischio dal fallimento di Evergrande, secondo grande developer cinese ormai sull’orlo del default. Trecento miliardi di dollari di debito accumulati finora, il doppio in cedole da pagare e 84 miliardi in scadenza il prossimo 23 settembre.

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Le autorità centrali sembrano aver decisamente scelto la strada del no al fallimento anche se Evergrande è stata definita “non troppo grande per fallire”. Nel frattempo i piccoli investitori stanno circondando le sedi di Evergrande in tutta la Cina, non soltanto più nel quartier generale di Shenzhen, e per questa ragione un default incontrollato darebbe fuoco alle polveri della protesta sociale.

Ovviamente un crack di tale portata sarebbe disastroso e per questa ragione Pechino vuol evitare di coinvolgere le banche commerciali in un’operazione di salvataggio che sarebbe solo a tempo. Meglio predisporre una ristrutturazione della holding che, tuttavia, si profila come la più complessa della storia cinese.

Una holding cresciuta a dismisura

Il primo problema è la dimensione tentacolare, Evergrande è stata fondata a metà degli anni Ottanta dallo storico chairman Hui Ka Yan, oggi vanta 1.300 progetti in 280 città della Cina ma si è allargata alle più varie attività dal calcio all’auto elettrica.

Fonte: Il Sole 24 Ore