Export di pere crollato di un terzo in 5 anni, primato italiano a rischio

L’Italia rischia di perdere uno dei suoi frutti più importanti e più venduti all’estero: le pere. Ne siamo il primo produttore europeo (30% del raccolto totale) e il secondo al mondo dietro la Cina. Eppure la nostra leadership si va indebolendo, anno dopo anno, e continuiamo a perdere competitività ed export (-31% in cinque anni).
Le cause? Un intreccio tra criticità storiche – come la frammentazione produttiva, la qualità non eterogenea e la mancanza di innovazione – ed eventi sfavorevoli recenti (come la siccità e i problemi fitosanitari) sta facendo crollare la produzione, stimata quest’anno in 470mila tonnellate, il 35% in meno rispetto al 2018 (fonte OI Pera).

In ginocchio c’è un settore che per il 70% è concentrato in una sola regione, l’Emilia Romagna, dove vale il 35% della Plv frutticola e coinvolge 15mila addetti. In questa terra, che copre oltre il 55% dell’export nazionale di pere (119 milioni di euro, secondo Ismea), nell’ultimo anno si è perso il 9% delle superfici produttive. I pericoltori espiantano gli alberi di Abate Fetel e William, Conference e Decana, perché non danno più reddito. «E questo rappresenta una minaccia non solo economica, ma anche sociale per l’intera regione perché rischiamo che scompaia un’intera filiera», afferma Mauro Grossi, presidente del Consorzio di tutela Pera dell’Emilia Romagna Igp, che riunisce 700 produttori da cui arriva un quarto del raccolto regionale potenziale.

Per salvare le pere emiliano-romagnole, gli operatori hanno superato le rivalità storiche e nel 2021 si sono riuniti in UNAPera, un’associazione di organizzazioni di produttori (Aop) che raccoglie il 15% delle imprese (pari al 25% della produzione regionale) e rappresenta l’anima commerciale dell’Igp. UNAPera ha quindi fatto sistema con la Regione Emilia-Romagna, che è intervenuta a sostegno della filiera con oltre 2,3 milioni di euro tra indennizzi per i raccolti persi, investimenti a sostegno della ricerca varietale e per la difesa, sostegni per i contratti agricoli di filiera finalizzati al rinnovamento in campo e all’adeguamento tecnologico e finanziamenti per la comunicazione e la promozione delle pere Igp in Italia e all’estero.

Una sostanziosa spinta, quindi, al rilancio e al rinnovo di un settore produttivo che vuole approcciare le pere in un modo nuovo, più moderno lungo tutto il percorso dal campo alla tavola. Sì perché se da un lato c’è l’esigenza di adeguare la produzione alle nuove sfide ambientali e di efficientare la filiera, dall’altro c’è anche da garantire maggiore soddisfazione ai consumatori che, pur continuando ad amare questo frutto (è il quarto più consumato), ne comprano sempre di meno. «La pera è il frutto preferito del 30% degli italiani ma un consumatore su due non è soddisfatto di quelle che compra», spiega Roberto Della Casa, professore di marketing e gestione dei prodotti agroalimentari all’Università di Bologna.

Per offrire un’esperienza gratificante, sull’esempio di quanto fatto con successo da altri prodotti a denominazione d’origine, è nata una nuova tipologia di prodotto top. Si chiama Selezione, debutta con circa 2mila tonnellate identificate da un apposito bollino, e si caratterizza per la maggior dolcezza e la texture pastosa. Ed è quindi modernissima. Infatti è finito il tempo delle pere fondenti, poco adatte all’attuale preferenza per le consistenze sode e alla crescita dei consumi on-the-go.

Fonte: Il Sole 24 Ore