“Fairytale”, a Locarno il nuovo, affascinante e complesso film di Sokurov

Era il film più atteso del Festival di Locarno ed è diventato molto presto uno dei più discussi, chiacchierati e interpretati al termine delle prime proiezioni: “Fairytale” di Aleksandr Sokurov è arrivato come un ufo all’interno del cartellone svizzero, creando ampi dibattiti e riflessioni. Non poteva che essere altrimenti di fronte alla nuova opera di uno degli autori più significativi degli ultimi decenni, regista di capolavori come “Madre e figlio” del 1997 o “Arca Russa” del 2002, oltreché Leone d’oro alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2011 per un altro film meraviglioso come “Faust”.

La Divina Commedia e le illustrazioni di Gustave Doré

Si apre con immagini dal sapore sublime e allo stesso tempo inquietanti, questo lungometraggio in cui l’autore fa rivivere personaggi del ventesimo secolo come Winston Churchill, Adolf Hitler, Iosif Stalin e Benito Mussolini. Queste figure principali della narrazione si trovano all’interno di una sorta di inferno monocromatico, con riferimenti alla Divina Commedia e alle relative illustrazioni di Gustave Doré.Ci sono anche apparizioni di altri personaggi come Napoleone e Gesù in quest’opera profondamente politica, che usa il passato per parlare del presente, in cui Sokurov torna a trattare il tema del potere e delle dittature dopo aver già dedicato a questi argomenti diversi lungometraggi (tra cui si può citare “Moloch”, un agghiacciante e potentissimo ritratto, sempre su Hitler, datato 1999).

Un’estetica meravigliosa

Se la narrazione è indubbiamente ostica e può dare adito a qualche perplessità, priva di sbavature è invece un’estetica semplicemente meravigliosa, tanto per gli effetti visivi quanto per le scelte fotografiche. Alla base c’è una scelta a dir poco complessa da realizzare, in cui le vere immagini dei dittatori e dei leader politici i sono state “ritagliate” e inserite all’interno di un contesto scenografico dal taglio profondamente originale e persino sperimentale. Sokurov ha sempre presenti numerosi riferimenti pittorici (Caspar Friedrich è uno dei nomi principali di “Madre e figlio”) e anche qui non mancano possibili ispirazioni che spaziano da Goya all’arte sacra. La “fairytale” di Sokurov ha un finale ben poco fiabesco e incantato, ma è l’ennesima pellicola di un mosaico di film semplicemente unici e sempre capaci di sorprendere.

Il Pataffio

In concorso è stato presentato anche “Il Pataffio”, atteso film di Francesco Lagi. Primo italiano inserito in competizione per il Pardo d’oro, il film è ambientato nel Medioevo e racconta le avventure di un gruppo di soldati e di cortigiani con a capo Marconte Berlocchio e la sua recente sposa Bernarda. Giunto in un remoto feudo, il gruppo si rende conto che intorno al castello fatiscente vivono solo villani per nulla disposti a farsi governare. Tra appetiti profani e sacri languori, militi sgangherati e povere anime, ha inizio un racconto sulla libertà, la fame, il sesso e il potere.

Tratto dall’omonimo romanzo di Lugi Malerba, “Il Pataffio” è un film che guarda moltissimo al cult “L’armata Brancaleone” di Mario Monicelli del 1966, sia per l’ambientazione sia per le dinamiche grottesche che contraddistinguono le disavventure dei personaggi. Seppure il grande film con Vittorio Gassman sia irraggiungibile, “Il Pataffio” poteva comunque risultare più incisivo: soprattutto nella prima parte l’esilità della trama rende il coinvolgimento altalenante, nonostante l’originalità del soggetto di partenza.I personaggi sono caratterizzati discretamente, ma il disegno d’insieme fatica ad appassionare, nonostante ci siano momenti godibili, dialoghi divertenti e un ultimo atto profondamente malinconico e capace di far riflettere.Francesco Lagi è un regista di grande talento, come dimostrato nell’ottimo “Quasi Natale” del 2020, ma qui la sua bravura si nota solo in parte: il film cresce col passare dei minuti, ma ci mette troppo a carburare risultando così riuscito soltanto a metà.

Fonte: Il Sole 24 Ore