Fiorentina e pomodoro Borsa di Montone nei prodotti tradizionali toscani (Pat)

Arrivano due novità nell’elenco dei Prodotti agroalimentari tradizionali (Pat) della Regione Toscana: si tratta della Bistecca alla Fiorentina, già segnalata dall’Accademia della Fiorentina per ottenere il riconoscimento Unesco come patrimonio immateriale, e del pomodoro Borsa di Montone, una varietà a rischio di estinzione, arrivata ai giorni nostri soltanto grazie alla caparbietà di anziani contadini che hanno continuato a coltivarla in Val di Bisenzio, in provincia di Prato.

La bistecca era apprezzata dai turisti del Nord Europa sin dal Settecento: ed è proprio nel 1750 che l’Accademia della Crusca conferma che l’etimologia della parola “bistecca” è da ricondurre ad un “prestito” linguistico dall’inglese beef-steak. Ci penserà poi il famoso critico gastronomico Pellegrino Artusi a consacrarla nel suo “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” edito nel 1891, illustrando anche i tempi e le modalità di cottura.

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La storia del pomodoro Borsa di Montone

Di tutt’altro tenore la storia del pomodoro Borsa di Montone: l’inserimento nell’elenco dei Pat arriva a conclusione di un iter partito qualche anno fa, grazie all’interessamento di Simone Rossini, produttore di Cantagallo, in provincia di Prato che ha presentato la domanda, da cui è stata avviata la caratterizzazione. Non si conoscono esattamente le origini di questa varietà che parrebbe essere arrivata dalla Francia e dalla Corsica, durante le emigrazioni dei contadini della zona per il taglio della legna.

«Non esiste in Italia una varietà simile – spiega Rossini – il mio interesse nasce nel 2016, quando l’avevo vista coltivare da alcuni contadini che tra loro non si conoscevano. Mi sono subito interessato a questo pomodoro costolato, dalla tipica striatura, e lo proposi ai clienti del mio agriturismo che ne rimasero subito entusiasti. Ma non c’era una vera e propria produzione messa a sistema. Negli anni, poi, alcuni avevano tentato alcune ibridazioni, per cui, per fare un lavoro di ricerca, era necessario trovare i semi autentici».
Rossini proseguì pazientemente il suo lavoro di approfondimento e di ricerca, che non si è rivelato sempre facile visto che, col tempo alcuni contadini della zona sono venuti a mancare, mentre altri avevano abbandonato la vita nei campi. Il rischio di estinzione era in agguato, ma è stato scongiurato da un’unica famiglia-custode che ne ha continuato la coltivazione. Successivamente arriva l’intervento dell’Università di Pisa per lo studio di caratterizzazione, cui segue l’iscrizione al Repertorio regionale, grazie al lavoro svolto dal Dipartimento Scienze Agrarie, Alimentari, Agroambientali (DiSAAA-a), in particolare dalla prof.ssa Luciana Gabriella Angelini con la collaborazione con la dott.ssa Lucia Ceccarini, individuando come zona tipica di produzione l’intera provincia di Firenze e Prato e come banca del germoplasma per la conservazione ex-situ la Sezione dell’Università di Pisa. Ed è sempre nel 2020 che arriva anche l’iscrizione all’Anagrafe nazionale della biodiversità di interesse agricolo.

Cosa sono i Pat

Con l’ingresso di questi due prodotti, l’elenco dei Pat di Toscana arriva a quota 463: tra questi figurano altri “big” della cucina toscana e nazionale come la schiacciata fiorentina, i brigidini di Lamporecchio, il Cacciucco livornese e altre produzioni meno note al grande pubblico, ma ugualmente significative per la storia della cultura rurale locale. Ciascuno con le sue peculiarità rappresenta la tipicità della tradizione di questa regione; è, in qualche modo, lo specchio di quegli antichi saperi e di un’economia che ha radici risalenti nel tempo. Il riconoscimento, dunque, ha una funzione essenziale di valorizzazione e di conservazione.

Fonte: Il Sole 24 Ore