Fruitimprese: torna a correre l’export di frutta nonostante i danni del clima

Recupera in quantità e valore l’export ortofrutticolo nel primo semestre dell’anno. Il raffronto con i primi sei mesi del 2020, nelle elaborazioni Fruitimprese su dati Istat, porta il controvalore a 2,6 miliardi di euro (+13,9%) e le quantità a 1,8 milioni di tonnellate (+10%). L’import cala in valore (-9,5%) e in quantità (-8,1%) e i saldi – segnala l’Associazione che riunisce le imprese ortofrutticole italiane – tornano tutti positivi: in valore (635 milioni euro) e in quantità (12.735 tonnellate).

Il trend in ripresa riguarda sia la frutta fresca +16,5% (oltre 1,1 miliardi euro) sia la frutta secca +37,3% (oltre 317 milioni euro). I prodotti campioni di export sono le mele per un controvalore di quasi 522 milioni euro (+15,45%), i kiwi (quasi 277 milioni euro +18,34%), le pere (quasi 64 milioni euro +46,80%).

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Registrato un exploit delle nocciole sgusciate: +126% per 155,5 milioni euro. Buono il trend dell’avocado con quasi il 49% in più e un controvalore di oltre 49 milioni euro. La tendenza positiva viene confermata anche dal raffronto col primo semestre del 2019, cioè l’anno pre-pandemia: in questo caso il raffronto con l’export del 2019 segna una crescita del 22,6%.

«I dati – commenta il presidente di Fruitimprese, Marco Salvi – confermano un commercio internazionale in buona ripresa quest’anno, con le nostre imprese molto attive e dinamiche e presenti su tutti i mercati di riferimento. Si registra con piacere un saldo positivo nell’import anche in quantità mentre il valore dell’export su base annua dovrebbe superare i 5 miliardi euro, quindi un livello importante, che conferma il secondo posto nella classifica del food nazionale».

«Il gap col nostro principale competitor, la Spagna, si allarga sempre più – continua Salvi – a conferma di una perdita di competitività che abbiamo recentemente rappresentato al ministro Patuanelli. Abbiamo un costo del lavoro più alto dei nostri competitor cui si aggiunge una crescente difficoltà a reperire manodopera sia per le operazioni di raccolta in campagna sia nei nostri magazzini di lavorazione. La manodopera straniera trova all’estero migliori condizioni di lavoro e le imprese minori problemi burocratici. La conseguenza è che calano le rese produttive mentre i costi di raccolta e confezionamento aumentano».

Fonte: Il Sole 24 Ore