G20 al via con il braccio di ferro sul clima. Kerry: senza la Cina, missione impossibile

Gli obiettivi sono condivisi da tutti, sulla carta: ridurre le emissioni, contrastare il cambiamento climatico e traghettare le economie nella transizione ecologica. Il problema è accordarsi sul come e, soprattutto, con quali scadenze. Il G20 Ambiente, Clima ed Energia, in cantiere a Napoli il 22 e il 23 luglio, parte col presupposto di spingere la comunità internazionale verso «obiettivi più ambiziosi» di politica climatica e preparare il terreno a vertici come la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2021, in programma a Glasgow in autunno e co-organizzata da Regno Unito e Italia.

Il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha dichiarato in una nota che si sta lavorando a un «documento in comune» per entrambe le giornate e che «non ci sono alternative a lavorare in un’unica direzione». La transizione ecologica «non è un pranzo di gala», ha aggiunto Cingolani, riferendosi ai costi economici e sociali attesi dal cambio di paradigma industriale. Non sembrano esserlo neppure i negoziati che si stanno svolgendo fra i delegati dei 20 paesi, alla ricerca di sintesi su un’agenda che tocca almeno 15 «temi principali» diversi, dalla gestione sostenibile dell’acqua a una ripresa «sostenibile» dalla crisi del Covid.

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Il braccio di ferro su accordi di Parigi e neutralità climatica

Sulla carta,la discussione del G20 dovrebbe ruotare intorno ai tre macro-temi di biodiversità, protezione del capitale naturale e ripristino degli ecosistemi, uso efficiente delle risorse ed economia circolare e «finanza verde», un concetto che la presidenza italiana riassume nell’obiettivo di riallineare flussi finanziari e sviluppo sostenibile.
La giornata del 22 sarà dedicata all’Ambiente, quella del 23 ad Energia e Clima, per la prima volta in coppia al G20. È soprattutto il secondo fronte a scatenare tensioni nel club delle economie più ricche del pianeta, spaccato a metà fra paesi più o meno «ambiziosi». A quanto si apprende alla vigilia della riunione fra i ministri dei vari paesi, i terreni di scontro sono soprattutto due.

Il primo dissidio è sugli obiettivi fissati dall’accordo di Parigi del 2015 e le conclusioni fissate dal Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico. Da un lato i paesi membri del G7 spingono per il rispetto dei target parigini, in particolare il contenimento degli aumenti di temperatura entro gli 1,5 gradi centigradi rispetto ai livelli pre-industriali. Dall’altro un blocco di economie meno «ambiziose», che include anche Arabia Saudita, Russia, India e Cina, contesta le evidenze scientifiche avanzate dall’IPCC e non ha intenzione di adeguarsi al tetto massimo.

Il secondo braccio si ferro si sta consumando sull’obiettivo comune della neutralità carbonica entro il 2050. In questo caso il blocco dei «meno ambiziosi» spinge per obiettivi più generici, come il raggiungimento di emissioni «bilanciate» entro la seconda metà del secolo in corso. Ma c’è chi si oppone anche all’ipotesi di menzionare nel documento l’eliminazione graduale della generazione elettrica da carbone e l’uscita progressiva dai sussidi ai combustibili fossili ritenuti inefficienti.

Fonte: Il Sole 24 Ore