I bambini non possono essere costretti a vedere i nonni

Nonni e zii devono appianare i contrasti e le tensioni con i genitori del minore se vogliono esercitare il loro diritto, non incondizionato, a vedere i nipoti. Perché non sono i minori a doversi sacrificare per il tornaconto degli ascendenti, in nome di un ipotetico pregiudizio che potrebbe derivare dall’assenza di queste figure nella loro crescita. Partendo da questi presupposti, la Cassazione, accoglie il ricorso di una coppia di genitori, teso ad evitare gli incontri, non graditi dai loro figli minori con i nonni e uno zio paterno, visti gli attriti che avevano addirittura portato un giudice a prescrivere alla nonna paterna l’assistenza di uno psichiatra a causa dell’elevata conflittualità. Un provvedimento poi revocato. Per la Suprema corte “nell’arsenale giuridico” che regola il diritto di famiglia, è necessario tenere presente il principio dell’interesse superiore del minore. Un criterio che prevale sia sull’interesse dei genitori che di altri familiari.

Per i nonni un diritto condizionato

Per la Suprema corte «È fuor di dubbio che ciascun minore ha un rilevante interesse a fruire di un legame, relazionale ed affettivo, con la linea articolata delle generazioni che, per il tramite dei propri genitori, costituiscono la sua scaturigine». Relazioni che, normalmente, «funzionano secondo linee armoniche e spontanee, perciò fruttuose per tutti gli attori in campo». Ci sono però i casi particolari in cui il risultato di rapporti, d’abitudine tranquilli, generano «situazioni limite che esigono l’intervento giudiziale, quando non sia sufficiente il buon senso a far superare le frizioni».

Il progetto educativo

E la Cassazione precisa il margine di azione delle toghe. L’intervento del giudice in questo ambito deve tenere conto del fatto che l’articolo 317-bis del Codice civile, nel riconoscere agli ascendenti un vero e proprio diritto a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, non ha un carattere incondizionato «ma ne subordina l’esercizio e la tutela, a fronte di contestazioni o comportamenti ostativi di uno o entrambi i genitori, a una valutazione del giudice avente di mira l‘ “esclusivo interesse del minore”». L’obiettivo è dunque la «realizzazione di un progetto educativo e formativo, volto ad assicurare un sano ed equilibrato sviluppo della personalità del minore, nell’ambito del quale possa trovare spazio anche un’attiva partecipazione degli ascendenti, quale espressione del loro coinvolgimento nella sfera relazionale ed affettiva del nipote». Un fine che può essere realizzato solo grazie alla buona volontà degli adulti. Nel caso esaminato, precisano i giudici di legittimità, la Corte d’Appello che aveva accolto il ricorsi dei nonni, non poteva fondare il suo giudizio solo sulla constatazione dell’assenza di un reale pregiudizio per i nipoti nel frequentare gli ascendenti, e dunque su un accertamento negativo.

Le verifiche del giudice

La verifica va condotta «in termini positivi – della possibilità per gli ascendenti di prendere fruttuosamente parte attiva alla vita dei nipoti attraverso la costruzione di un rapporto relazionale ed affettivo e in maniera tale da favorire il sano ed equilibrato sviluppo della loro personalità» In altri termini – conclude la Cassazione – «non è il minore a dovere offrirsi per soddisfare il tornaconto dei suoi ascendenti a frequentarlo, ove non ne derivi un “reale pregiudizio» ma è l’ascendente «il diritto del quale ex articolo 317-bis del Codice civile vale nei confronti dei terzi, ma non dei nipoti, il cui interesse è destinato a prevalere – a dovere prestarsi a cooperare nella realizzazione del progetto educativo e formativo del minore, se e nella misura in cui questo suo coinvolgimento possa non solo arricchire il suo patrimonio morale e spirituale, ma anche contribuire all’interesse del discendente».

Nessun vincente ma comportamenti responsabili

È dunque comprensibile per la Suprema corte «come in caso di conflittualità fra genitori e ascendenti non si tratti di assicurare tutela a potestà contrapposte individuando quale delle due debba prevalere sull’altra, ma di bilanciare, se e fin dove è possibile, le divergenti posizioni nella maniera più consona al primario interesse del minore, il cui sviluppo è normalmente assicurato dal sostegno e dalla cooperazione dell’intera comunità parentale». Compito del giudice non è dunque individuare quale dei parenti debba vincere sull’altro, ma di stabilire, sempre nel superiore interesse del minore, se i rapporti non armonici, o addirittura conflittuali, fra i parenti adulti « si possano comporre e come ciò debba avvenire».

Fonte: Il Sole 24 Ore