Il futuro del gruppo Valmont è nell’incontro tra arte e bellezza

«Venezia è una città unica, ricca di idee innovatrici, una metafora dell’umanità. Una città che amo profondamente, tanto che entro l’anno mi trasferirò per viverci», cosi Didier Guillon, presidente, proprietario e direttore artistico del gruppo Valmont, la maison elvetica che annovera i marchi Valmont, L’Elixir des Glacier e Storie Veneziane, spiega il suo amore incondizionato per la Serenissima.

Ma monsieur Guillon è un artista a tutto tondo, presidente della Fondation Valmont, fondata nel 2015 per divulgare l’arte contemporanea. E proprio a Venezia a Palazzo Bonvicini, in occasione della Biennale di Architettura, la Fondation Valmont ha allestito la mostra “Alice in Doomedland” (fino al 27 febbraio 2022): una metafora della vita attraverso la fiaba bizzarra e fantastica “Alice nel Paese delle Meraviglie”, scritta da Lewis Carroll nel 1865.

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Alice non è più nel Paese delle meraviglie

Il romanzo vittoriano di Carroll rappresenta la lotta contro il tempo, dove razionalità e immaginazione si scontrano in continuazione, un cammino tortuoso per capire chi siamo, cosa rappresentiamo e cosa vogliamo essere, in perfetta sintonia con i tempi difficili che abbiamo vissuto, e ancora stiamo vivendo, a causa del Covid-19. “Alice in Doomedland”, il cui significato è “Alice in una terra condannata”, instaura un potente dialogo emotivo con il visitatore, facendo emergere importanti interrogativi sulla condizione umana.

«La mostra, attraverso le opere di quattro artisti, diventa un autentico percorso circolare e personalizzato – spiegano i due curatori Luca Berta e Francesca Giubilei -. Così come avviene per Alice, tutti saranno costretti ad aprire certe porte, a soffermarsi per cogliere il significato delle opere che sono tutte interpretazioni del racconto di Carroll».

Si parte con “The Garden Dreamers” opera corale a cura di Silvano Rubino, Isao & Stephanie Blake e Didier Guillon, una sorta di giardino con un manto erboso per entrare in un piano sensoriale, simbolico e visivo della mostra. La prima stanza è “Crossing. Ad occhi chiusi” di Silvano Rubino, dove attraverso uno scivolo, proprio lasciandosi scivolare, si entra nell’installazione multimediale, un invito ad aprire la propria mente, senza confini e ad accettare l’ignoto. Nella seconda stanza “Drink me!” di Isao & Stephanie Blake, troneggia un’Alice gigante, fatta di pezze riciclate, la sostenibilità è il fil rouge del percorso, dove il visitatore ripensa al proprio rapporto con lo spazio. Infine la terza stanza “The Room of Tears” allestita da Didier Guillon, in cui vengono riproposte le cages blu, tema caro all’artista, che si prestano a raccogliere le lacrime di Alice, che poi si riversano in una serie di scatole che contengono delle domande per il visitatore e lo spingono a riflettere su importanti sfide dell’uomo contemporaneo.

Fonte: Il Sole 24 Ore