Il museo dai quadri che piangono

REGGIO EMILIA. La lussureggiante visionarietà dei Peeping Tom – compagnia belga diretta dai coreografi e metteurs en scene Frank Chartier, francese, e Gabriela Charrizo, argentina- è chiaramente nutrita dall’immaginario cinematografico dei maestri del surrealismo. Lo dichiara del resto il suo nome, che si rifà al titolo di un film di Michael Powell (in italiano L’Occhio che uccide) incentrato sull’ossessione maniacale del voyeurismo.

L’inconscio collettivo

I Peeping Tom investigano infatti sui potenziali drammaturgici dell’inconscio collettivo, dei quali esplorano temi portanti in pièce che si incastonano una nell’altra come polittici teatrali: che si parli di famiglia o si attraversino le zone del nostro habitat quotidiano, la loro narrazione vira negli anfratti indicibili della psiche, allude a ataviche paure e passioni, svela i tumulti e i misteri di ciascuno dietro la facciata della normalità calibrando con magistrale bravura l’incredibile padronanza scenica degli interpreti con i ritmi narrativi, la regia audio, gli effetti teatrali e l’uso drammatico di scenografie “viventi” che coinvolgono, avvolgono e talvolta fagocitano i personaggi delle loro strane storie e tengono noi spettatori avvinti alle poltrone.

Festival Aperto di Reggio Emilia

Al Festival Aperto di Reggio Emilia, ultima tappa del tour italiano che ha toccato Oriente Occidente e TorinoDanza, l’acclamato “Triptych” univa tre creazioni fatte per il Nederlands Dans Theater incentrate su altrettante “stanze” freudiane, tra cupi corridoi alla Kubrick e sale da pranzo invase da catastrofi naturali – fuoco e tsunami- dove tra lontane reminiscenze, ipotetici flash back, atmosfere oniriche e citazioni cinematografiche si aggirano creature che appaiono come “revenants” , larve umane, ectoplasmi gravidi di passati pesanti di dolori e delusioni( come quelli che in fondo ci portiamo tutti sulle spalle).

Ma la sosta reggiana dei Peeping Tom aveva ancor più motivo di interesse nella prima assoluta di La visita, produzione vincitore (prima volta per l’Italia) del prestigioso Fedora Prize, mecenatesco supporto economico della Fondazione Van Cleef & Arpels alle arti della scena. Nello specifico il premio di 50.000 euro per creazioni di “balletto” ha premiato il progetto speciale immaginato dalla Charrizo per lo spazio espositivo della Collezione Maramotti.

Partendo da un interrogativo realistico-come si relaziona chi lavora in un museo con le opere d’arte che popolano la sua quotidianità? – e abilmente mischiando ai suoi performer reali collaboratori del museo ( tre vigilantes e alcune addette alle pulizie), Charrizo muove gli spazi bianchi della struttura e gli spettatori per seguire il girovagare di una visitatrice dall’enigmatico volto orientale, la stanca routine di una addetta alle pulizie e la follia amorosa di un vigilante eroticamente travolto dalla seducente “Meditazione” di Hayez. Dall’ideale pertugio da cui si investigano tic e manie, assistiamo così agli effetti “fisici” delle sindromi stendhaliane della visitatrice, che dinanzi alle opere ha un mestruo nero inchiostro e letteralmente si affloscia come una bambola di gomma o i raptus incontrollabili della guardia, che brandisce una pistola per difendere da tutti la sua bella dipinta.

Fonte: Il Sole 24 Ore