Il Pnrr come acceleratore della rigenerazione urbana

Case con prezzi accessibili, mobilità fluida, riqualificazione degli edifici in chiave sostenibile sono alcuni dei temi toccati dal Pnrr , il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che potrebbe rappresentare la sfida chiave per il nostro Paese. E per Milano. In arrivo nel capoluogo lombardo pre-Covid erano attesi investimenti per circa dieci miliardi di euro, oggi che le cifre si sono ridimensionate per la pandemia e la cautela imposta dai tempi che viviamo dovrebbero arrivare però 4-5 di miliardi proprio dal Pnrr. Capitali in grado di accelerare quel processo di rinascita che Milano ha messo in piedi anni fa.

«La stagione aperta dal Governo Draghi e l’approvazione del Pnrr rappresentano una opportunità storica non ripetibile per tracciare un nuovo percorso per il futuro dell’Italia, da un punto di vista sociale, ambientale ed economico – dice Paolo Bellacosa, partner di Vitale & Co -. Manca però una unità di coordinamento. Proprio in virtù della centralità della rigenerazione urbana, affinché il Piano possa essere uno strumento veramente efficace nel processo di ammodernamento fisico e digitale del Paese è determinante rispondere tempestivamente ad alcune sfide riguardanti l’implementazione degli investimenti e degli interventi in questo ambito, a partire dalla creazione di una unità di indirizzo e coordinamento dedicata alla rigenerazione urbana, con una competenza specifica di settore e a supporto sia degli enti territoriali che degli stakeholders privati».

Bellacosa sottolinea che i nodi per Milano sono la rivoluzione verde e la transizione ecologica, quest’ultima legata a un principio di riqualificazione dello stock immobiliare esistente e ad alcune aree di rigenerazione, ma anche la mobilità e l’housing sociale, la costruzione e la riqualificazione delle scuole e lo sviluppo delle case e degli ospedali di comunità.

Quali le criticità? In primis la burocrazia. «È necessario adeguare la portata storica del Piano a un processo straordinario di semplificazione ed accelerazione burocratica e degli iter autorizzativi: tempistiche autorizzative certe, limitazione allo strumento dei ricorsi e delle impugnazioni (sia da privati che da enti pubblici) per evitare ritardi, poteri di veto e l’azzardo morale di operatori avvezzi alla presentazione pretestuosa di ricorsi. Ma anche favorire le public private partnerships (PPP). Il Piano a oggi prevede – per i soli Piani Urbani Integrati – un limite massimo all’investimento privato del 30%. Un investimento di minoranza in progetti fortemente “industriali” a controllo pubblico è difficilmente attrattivo per operatori privati. Si dovrebbe implementare un programma di PPP per attrarre investimenti privati in tutti i progetti che hanno un mercato di riferimento con una presenza di minoranza pubblica di controllo e di indirizzo verso politiche sostenibili sia in chiave economica, sociale ed ambientale».

Fonte: Il Sole 24 Ore