Immuni da smartworking, ma a rischio di estinzione

A distanza di un anno dall’avvio forzato dello smart working, possiamo senza dubbio affermare che questa nuova modalità di approccio al mondo del lavoro abbia appassionato e condizionato moltissime realtà professionali. La letteratura manageriale sembra ormai completamente allineata nell’affermare che indietro non si possa più tornare e che la nuova forma organizzativa del lavoro non abbia altra strada che non quella del lavoro smart. Sono recenti le dichiarazione apparse su Forbes di importanti realtà come Salesforce, colosso californiano del cloud computing che, attraverso le pesantissime parole del suo Presidente e Chief People Officer sentenzia definitivamente: “La giornata di lavoro tradizionale, dalle nove di mattina alle cinque del pomeriggio, è morta!”.

O ancora più recenti le parole di Travis Robinson, global head di Spotify: “Nessuno dovrà più scegliere tra la comunità dei suoi sogni e il lavoro dei suoi sogni”; due esempi che dipingono senza sfumature un mondo del lavoro in cui il luogo di lavoro non sia centrale per l’efficacia del lavoro stesso. Le due citazioni rappresentano solo la punta di un iceberg di pensiero che identifica il futuro del lavoro sganciato da luoghi ed orari di lavoro.

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Se da un lato questa nuova realtà spinge alla pensione l’ormai superato concetto di equilibrio tra vita professionale e personale a favore di un più moderno di concetto di benessere garantito dal lavoro, dall’altro apre una profonda crisi rispetto a tutti i mondi che sono immuni dallo smart working e che rischiano di soffrire nel medio periodo di una ancora più profonda crisi di attrattività di talenti, venendo classificati come lavori o mestieri da scartare.

In Italia circa quattro milioni di persone sono occupati in settori industriali manifatturieri in cui non esiste possibilità di trasformare il lavoro in logica smart così come per il mondo dei servizi. Il concetto di smart working per l’industria si indentifica con l’integrazione di soluzioni ad alto impatto tecnologico che aiutano i processi ma non consentono un avvicinamento al modello dei servizi. Il nuovo stereotipo del lavoro rischia di generare conseguenze non sottovalutabili da tutti i settori che non adotteranno in futuro soluzioni in grado di avvicinarsi a questo nuovo modo di pensare al lavoro.

Non si tratta di un nuovo scontro tra il mondo dei servizi e quello dell’industria, ma di affrontare un fenomeno dilagante in chiave diversa rispetto a quello che ad oggi viene contemplato all’interno delle manifatture. Il patrimonio di conoscenza e di abilità presente in alcune delle nostre manifatture e, in particolare, quelle legate al nostro Made in Italy, rischia di subire una profonda contrazione in termini di inserimento di nuovi giovani, tanto da rischiare di perdere generazioni di talenti indispensabili per continuare a far crescere una straordinaria porzione del nostro tessuto industriale.

Fonte: Il Sole 24 Ore