Italo Svevo burlone e favolista

Mario Samigli è uno scrittore alla soglia dei sessant’anni che vagheggia ancora sogni di gloria, dopo aver pubblicato molto tempo prima un romanzo che non gli diede il successo sperato. Scisso tra il grigiore della vita quotidiana – con il fratello Giulio, gli amici, “un impieguccio che non gli dava molti fastidi”, “un piccolissimo reddito” – e l’attesa di una futura consacrazione, scrive favole che sono un po’ il prolungamento e la trasfigurazione di sé, il “feticcio” contro l’insipienza del reale.

Un’esistenza imprigionata nelle sole fantasticherie andrebbe anche bene a Mario, se non fosse che un presunto amico – e cioè, un vero nemico – Enrico Gaia, commesso viaggiatore e beffeggiatore seriale, irritato dall’aria perennemente inebetita e dalle velleità scrittorie di Samigli, architetta uno scherzo micidiale: il 3 novembre 1918, “la giornata storica di Trieste”, il Gaia confida alla sua vittima di aver incontrato un rappresentante dell’editore Westermann di Vienna che ha mostrato subito interesse per il vecchio romanzo di Mario, Una giovinezza, ed è pronto ad acquisirne i diritti, tradurlo in tedesco e ristamparlo.

È davvero difficile non riconoscere in questo breve plot di Una burla riuscita la mano di Aron Hector Schmitz, al secolo Italo Svevo. Una serie di indizi ci guidano con sicurezza a questa (prevedibile) equazione. Partiamo innanzitutto dalle generalità del personaggio principale. Come osserva Matteo Palumbo nell’introduzione alla nuova edizione della novella, stampata recentemente dai tipi di Spartaco: “Samigli, il cognome del protagonista, rimanda a uno degli pseudonimi che Ettore Schmitz aveva adottato per il suo esordio artistico, prima di approdare al nom de plume definitivo” (particolarmente per gli articoli apparsi sul quotidiano triestino L’indipendente).L’“impieguccio” e il rapporto con il fratello rimandano poi letteralmente alla biografia sveviana, mentre il titolo del romanzo, Una giovinezza, è un’antifrasi per Senilità (con l’articolo indeterminativo che ingloba, peraltro, Una vita), pubblicato nel 1898, e cioè trent’anni prima del racconto.

Una burla riuscita

Una burla riuscita è, infatti, edito su Solaria nel 1928, quando il caso Svevo è ormai scoppiato, e “resta l’ultima testimonianza pubblica di una stagione creativa” che, oltre alla Coscienza di Zeno (1923) e alla riedizione di Senilità (1927), vede la composizione di Corto viaggio sentimentale, Il vecchione e Vino generoso. In questa novella si addensano e si concentrano “le maggiori costanti dell’universo sveviano”, i tic che il lettore attento ha già colto nello sguardo “pallido” e “striminzito” di Alfonso Nitti o Emilio Brentani o Zeno Cosini, tutti emblemi di un’“autobiografia speciale”, come la definisce a ragione Palumbo.

Autofiction ante litteram

In una lettera a Eugenio Montale del 6 settembre 1926, Svevo confessa: “Preferisco dedicare il poco tempo che ho a finire (rifare) quella novella che Lei sa e di cui sospetto ch’è bacata all’origine. Che la finisca o no, sarà l’ultima che farò… o non farò (guardi che contraddizioni!)”. Terribile previsione se si pensa che lo scrittore morirà qualche mese dopo l’uscita della novella, a causa dei postumi di un incidente automobilistico.Certo è che le ansie, gli sbigottimenti e i trasalimenti del cuore del Samigli sono e, al contempo, non sono quelli di Svevo, proprio perché al riparo da ogni pericolo di autofiction ante litteram, per calarsi nei panni del personaggio, l’autore mescola ricordi e fatti realmente accaduti a un più generale esodo da sé. In tal senso, Le favole – che sono la naturale prosecuzione del racconto, perché vanno di pari passo alla minuta attività letteraria di Mario – si aprono completamente alla realtà esterna per stigmatizzarne le contraddizioni, come il brevissimo apologo della formica: “Una formica muore e morendo pensa: Il mondo muore”. O come la tragica vicenda dell’uccellino, presente anche nella novella, che ricorda la morte di Amalia Brentani: “Un augellino fu strangolato da uno sparviero. Non gli fu lasciato il tempo che di fare una protesta molto ma molto breve. Un lieve grido. All’augellino tuttavia parve di aver fatto tutto il suo dovere e la sua animuccia volò superba verso il sole”.

Fonte: Il Sole 24 Ore