La cultura modello Netflix è adatta alla vostra azienda?

Tutto dipende dal capitolo uno. Ma ci arriveremo. Rewind: esattamente da metà settembre, ovvero da quando il saggio L’unica regola è che non ci sono regole, scritto a quattro mani dal cofondatore di Netflix Reed Hastings ed Erin Meyer, è uscito in Italia, in molte delle aziende dove lavoriamo (inclusa la nostra) si è cominciato a dibattere del “modello aziendale Netflix”, in particolare cosa sia possibile mettere in pratica per diventare radicalmente innovativi come il brand di intrattenimento streaming più celebre del globo. Play: dopo averlo letto entrambi più volte (sì: è dannatamente avvincente), ci siamo convinti di alcune cose:

1. Il modello Netflix può effettivamente dimostrarsi efficace per innovare e rinnovare costantemente i modelli di business.
2. Il libro è estremamente pratico e concreto, al netto di un titolo adatto alla vendita e che volutamente semplifica troppo.
3. Il testo si sviluppa con una logica lineare nella sequenza di azioni che portano al successo. Tradotto: non è affatto scontato che fare le cose suggerite, nell’ordine suggerito, porti ai risultati attesi. Occorre tenere conto che nel mentre panta rei, il mondo si muove, ogni nostra iniziativa genera retroazioni che spesso portano a operazioni perfettamente riuscite su pazienti deceduti.
4.Il modello NON è adatto a tutti. E tutto dipende dal primo step del primo capitolo, appunto. Molte aziende italiane, soprattutto le native analogiche di medie-grandi dimensioni, se tentassero davvero a mettere in pratica i consigli di Hasting e della Meyer, rimarrebbero con tutta probabilità impantanate al primo step: “create densità di talento, costituendo una forza lavoro di persone altamente performanti”. Ovvero, le persone che portano a casa risultati sfidanti sono adatte all’azienda, rimangono e vanno convinte a restare. Tutti gli altri fuori. E in fretta. Ovviamente, come sottolinea Hastings: con un’ottima buonuscita.

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Su questo non ci possono essere eccezioni o sconti, simpatie o empatie che salvino nessuno, in quanto, come emerge in modo cristallino nelle prime pagine, una performance media o mediocre inficia l’intero lavoro svolto da un team di grande talento: “basta un’’unica persona mediocre in un team, ed ecco che si abbassa notevolmente il lavoro di 10 persone capaci di performare al massimo”. La parola chiave è performance, non a caso.

Riprendendo la terminologia dello studioso di culture aziendali Fons Trompenaar , il modello Netflix è una declinazione della classica cultura missile guidato di matrice anglosassone. Se lavori all’interno di un’organizzazione-missile, tu vali non perché godi della stima dei capi (questa è la cultura famiglia), perché ti impegni al massimo per aiutare l’azienda sposandone i valori (cultura incubatrice) o perché ne segui con grande senso di responsabilità le regole e gerarchie (cultura torre Eiffel), ma perché porti a casa il miglior risultato possibile.

Lo rimarca lo stesso Hasting, in uno dei numerosissimi aneddoti ripresi dalla storia aziendale: a un certo punto si sono accorti che Netflix non poteva essere comunicata e immaginata come una “grande famiglia”. Perché in famiglia non si può lasciare nessuno a casa, nonostante una persona non sia una “rockstar” nel proprio lavoro e non performi come dovrebbe. Netflix è qualcos’altro: una squadra sportiva professionista. Dove ogni giocatore partecipa al campionato del business di serie A per vincere. Dove tutti i contratti sono straordinariamente ben pagati, ma sono a termine, sino a quando riuscirai a dimostrare di essere un grande investimento, tra i migliori in campo nel tuo ruolo.

Fonte: Il Sole 24 Ore