La formazione manageriale pre e post pandemia: cosa è cambiato, in meglio

La pandemia è stata un acceleratore di tanti processi abbozzati negli anni e nei mesi precedenti lo scoppio di un’emergenza sanitaria che in molti casi ha generato una sensazione di inadeguatezza, ponendo in risalto anche il tema dell’urgenza. Urgenza di portare a termine, o perlomeno di avanzare sensibilmente, un percorso di cambiamento resosi necessario se non improcrastinabile in diversi ambiti della vita e dell’organizzazione aziendale. Formazione compresa, pratica che finalmente, come osserva Emanuele Castellani, Ceo di Cegos Italy & Cegos Apac, non è più considerata un’opzione anche da chi non è specificatamente un addetto ai lavori. Ecco come, secondo il manager del gruppo multinazionale francese, il mondo dell’apprendimento sta affrontando una trasformazione che riflette le nuove tendenze del mondo del lavoro e dell’innovazione tecnologica.

Proviamo a scattare una fotografia di scenario per capire cosa è cambiato in questi mesi?
L’orizzonte temporale della formazione è cambiato: non si apprende più per “mettere da parte” nuove nozioni, rispetto al principio del “un giorno mi potrà servire”, ma con lo spirito di testare subito nella pratica nuovi comportamenti e vederne il riflesso nelle prestazioni. E poi c’è il tema del digitale. Ormai sdoganato da anni a livello europeo, oggi ha convinto anche le aziende italiane: le aule virtuali hanno trovato spazio anche nella modalità interaziendale e diversi formati innovativi si sono affermati mescolando elementi di digital learning, interazione umana e apprendimento on the job e sfuggendo alla logica del modulo e-learning stand alone.Anche l’e-learning sta dunque cambiando.

Con la soluzione MyStory, Cegos punta in modo deciso su video ed esperienze immersive. Perché?
La formazione ha bisogno di interazione per essere efficace e di integrazione di diverse metodologie. Quando si fa e-learning, l’ingaggio e l’attenzione dei partecipanti vanno stimolati in modo continuo e MyStory risponde a questa esigenza grazie a un’immersione reale nell’esperienza che vive un manager mentre si destreggia tra meeting, colleghi e obiettivi da raggiungere. I video permettono una fruizione immediata dei contenuti e il feedback richiesto sui diversi comportamenti portano il partecipante a focalizzarsi su situazioni realmente vissute, aiutandolo a cambiare e a migliorare i propri atteggiamenti, immedesimandosi in prima persona nella situazione proposta.

La riorganizzazione degli spazi di lavoro andrà a impattare in qualche modo sulle attività di training e nei processi di upskilling e reskilling?
Sta già accadendo. I temi più ricorrenti sono quelli che iniziano con la parola “remote”: remote working, remote communication, remote selling, remote collaboration, remote management. Il pensiero di fondo e trasversale a tutte queste tematiche è che non basta equipaggiare le persone da un punto di vista tecnologico e stipulare un accordo aziendale per essere sicuri che le stesse possano esprimere il loro potenziale come in precedenza. Le tematiche dell’efficienza e dell’efficacia della prestazione si intersecano inevitabilmente con quelle del benessere dei lavoratori. Investire in formazione è quindi essenziale per coniugare sinergia, cultura aziendale, metodologia e cooperazione con i bisogni dei singoli. E poiché non è sostenibile un’idea di azienda slegata dal benessere della sua popolazione, si porrebbe il rischio di implosione nel medio-lungo periodo.

Nel “new normal” dobbiamo aspettarci una crescita della domanda formativa? La formazione diventerà finalmente un valore dell’organizzazione?
L’isolamento, il lavoro a distanza e l’incremento dell’uso di strumenti digitali hanno cambiato il modo in cui ci relazioniamo con l’esterno e accresciuto il senso di responsabilità. Le persone che sentono l’esigenza di formarsi stanno assumendo un atteggiamento sempre più “demanding” in termini di tempismo, fruibilità ed efficacia. Il digitale renderà la formazione più accessibile, non c’è dubbio, e la diatriba sul futuro deve tener conto di due fattori fondamentali: l’obiettivo formativo e il livello di “digital addiction” del partecipante. Per quanto riguarda il primo punto, più che parlare di formazione ibrida, credo sia meglio concentrarsi sulla dicotomia tra sincrona e asincrona, spostando il focus sull’obiettivo e puntando a sviluppare comportamenti più adeguati, produttivi e virtuosi, per l’azienda e per la persona. Quanto al secondo tema, occorre tener conto come sia ormai passato il concetto che un determinato servizio sia fruibile anche in modalità digitale o che coniughi digitale e presenziale.

Fonte: Il Sole 24 Ore