La sfida del remote working per gli “over” durante la pandemia

Il fattore età sta assumendo crescente rilevanza nelle organizzazioni così come nella società nel suo complesso. Le dinamiche demografiche in atto, caratterizzate da un progressivo allungamento della vita media e bassi tassi di natalità e l’innalzamento dell’età per il pensionamento hanno prodotto un aumento della “popolazione senior” nelle imprese imponendo un serio e profondo ripensamento delle politiche di gestione delle risorse umane. Le aziende si trovano pertanto a dover gestire, non senza difficoltà, organici caratterizzati dalla coesistenza di lavoratori giovani e maturi con esperienze, attitudini ed aspettative non sempre allineate e convergenti.

Si parla pertanto di gap generazionale per indicare il divario di idee, codici culturali e comportamentali e di conseguenza di competenze che separa una generazione dalle precedenti e successive e che ha trovato un brusco e repentino inasprimento nel periodo pandemico. La spinta all’utilizzo massiccio e pervasivo della tecnologia dovuta alla diffusione della Covid-19 ha di fatto prodotto contemporaneamente un incremento della domanda di competenze digitali, una riprogettazione dei contenuti delle professioni, nonché delle modalità di realizzazione del lavoro con particolari implicazioni per i lavoratori maturi cresciuti in contesti scarsamente digitalizzati rispetto a quelli odierni, ed essendo per loro natura meno avvezzi all’apprendimento in questo ambito.

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Questa notevole accelerazione nella digitalizzazione dei processi di lavoro che ha obbligato aziende e lavoratori a realizzare da remoto tutte le attività compatibili con uno svolgimento a distanza ha esacerbato un gap di per sé già molto critico e rilevante. Mettendo in primo piano la coniugazione delle performance economiche e il benessere dei lavoratori è in questi scenari che trova spazio l’age management, un insieme coordinato di misure volte a promuovere una cultura della diversità atta a valorizzare i gruppi di tutte le età al lavoro e modelli organizzativi in grado di far emergere il potenziale del capitale umano.

Un’indagine in corso di realizzazione da un team di ricercatori di organizzazione aziendale, personal development e sociologia della Facoltà di Economia dell’Università Cattolica in collaborazione con Confapindustria Piacenza sta mettendo in luce alcune tendenze ponendo particolare attenzione alle criticità che gli “over” stanno inevitabilmente affrontando con l’introduzione forzata e massiccia, non sempre accompagnata da un’adeguata formazione preventiva, del remote working.

Lo spazio di lavoro virtuale viene così a configurarsi come sistema di sperimentazione nel quale i dispositivi digitali divengono strumenti di apprendimento, definendo un ambiente in cui si negoziano e condividono significati, competenze, deontologie professionali e nel quale la costruzione di un rapporto fiduciario tra i soggetti assume ancora più importanza rispetto all’attività lavorativa in presenza.

Fonte: Il Sole 24 Ore