Nella Jeans Valley delle Marche, distretto storico che riparte da lusso e sostenibilità

Il blu del mare, il verde delle colline: i colori delle Marche si inseguono nel suo paesaggio, e diventano anche simbolo della transizione di uno dei suoi più importanti distretti industriali: la “jeans valley” del Montefeltro. Un fitto tessuto di imprese, 327 per oltre 2.200 addetti secondo la statistica elaborata da Intesa Sanpaolo per Il Sole 24 Ore, una filiera completa dove si lavora il tessuto, si tinge, spesso ancora con il guado (la pianta usata dai tintori medievali della zona, che genera bellissime e naturali sfumature di blu), si lava con l’abbondante acqua della Val Metauro, si decora con ricami e zip, si etichetta.

Posizionamento di qualità per difendere le eccellenze

Una filiera che, dice sempre Intesa Sanpaolo, è riuscita a superare la crisi legata alla delocalizzazione degli anni Novanta riposizionando la sua produzione verso il lusso e la fascia medio-alta. E che grazie a questo, insieme a una avanzata strategia di sostenibilità e a una tendenza radicata a stringere reti d’impresa, guarda al futuro con ottimismo. È il blu che diventa verde, appunto.

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Marchesi (Compagnia del Denim): «La sostenibilità è un impegno concreto»

«Per noi la sostenibilità è un impegno fondamentale, che onoriamo con onestà – spiega Alessandro Marchesi, fondatore e ad di Compagnia del Denim, azienda nata nel 1998 a Serra de’ Conti, in provincia di Ancona, e al quale fa capo il marchio Two Women Two Men -. Sversamenti, lavorazioni con prodotti inquinanti, qui non ce ne sono. Le nostre lavanderie, per esempio, sono riuscite a ridurre drasticamente il consumo di acqua, anche grazie a nuovi macchinari che la nebulizzano: se prima servivano 70 litri per produrre un paio di jeans, oggi ne basta uno. L’acqua usata viene poi depurata e riciclata in speciali vasche. Dalla sabbiatura (un’altra fase della lavorazione del denim, ndr) non fuoriesce un granello di polvere, grazie a innovative cappe che la aspirano. Certo, si tratta di tecnologie costose, costi che devono essere ammortizzati. Ma il prezzo di un paio di jeans fatti qui è un investimento per una sostenibilità reale, onesta appunto». Il marchio di Marchesi ha anche lanciato una linea 100% Natural, fatta di denim ricavato da scarti di lavorazione riciclati, e che usa tinture naturali, come appunto il guado. Da quando nel 2008 è entrato nel capitale il gruppo Cris Conf, Compagnia del Denim produce soprattutto per Pinko, il marchio del gruppo, ma ha fornito jeans anche a Dolce &Gabbana, Raf Simons, John Galliano: «I marchi del lusso sono sempre più attratti dal nostro modo di produrre», prosegue l’imprenditore.

I progetti del territorio: il segreto è fare rete

In luglio la sede di Compagnia del Denim ha ospitato un appuntamenti dell’Osservatorio regionale sulla specializzazione intelligente, promosso dall’Assessorato allo Sviluppo Economico delle Marche, sul tema “Moda e cura della persona”: una tavola rotonda alla quale hanno partecipato molte aziende della jeans valley, come la Dienpi di San Benedetto del Tronto, specializzata nella produzione di accessori ed etichette.

Puntare su tracciabilità e riuso, anche oltre il distretto

Alla guida di Dienpi c’è Doriana Marini, che nel 2014 ha dato vita al progetto Rete Its, un network di aziende del distretto che ha chiuso la sua prima fase di vita a fine 2020, ma che è pronto a ripartire e ad accogliere le nuove sfide imposte dall’evoluzione dell’industria. «La nostra filiera è molto viva – sottolinea Marini, che è anche vice presidente nazionale e presidente regionale di Cna Federmoda -. Certo, dobbiamo saperci adattare alle richieste del mercato, sostenibilità e tracciabilità in primis. La nostra filiera è sempre stata tracciabile, e questo per noi è un vantaggio competitivo che ci difende anche dalla contraffazione. Con la rete Its già nel 2014 avevamo sviluppato delle etichette smart con un tag nfc che, una volta letto, raccontava dove e quando erano state eseguite tutte le fasi dei lavorazione dei jeans».

Fonte: Il Sole 24 Ore