Per il carbone è iniziato il viale del tramonto (in attesa dei big)

Tra i firmatari di questo accordo più vincolante mancano, però, i grandi utilizzatori del carbone: Stati Uniti, Australia, India e Cina. A settembre il presidente cinese, Xi Jinping, aveva affermato che Pechino non avrebbe più finanziato la costruzione di nuove centrali a carbone in Paesi esteri, senza però chiarire come si sarebbe comportata la Cina sul fronte interno.

Per Chris Littlecott, direttore del think tank E3G, «questo impegno sul carbone è un grande passo avanti e sarebbe stato impensabile uno o due anni fa». Per E3G, malgrado la crescita dei consumi in India e in Cina, il carbone è davvero sulla via del tramonto, se non altro perché le fonti rinnovabili stanno diventando sempre più competitive e in molti casi il più sporco dei combustibili fossili non conviene più.

In base a uno studio del think tank inglese, da quando sono stati firmati gli accordi di Parigi sul clima i progetti di nuove centrali a carbone in tutto il mondo sono crollati, da 1.553 gigawatt nel 2015 a 482 gigawatt nel 2021, considerando gli impianti annunciati, quelli che stanno richiedendo le autorizzazioni (pre-permit), quelli autorizzati e quelli in costruzione.

Tre quarti dei progetti, 1.175 gigawatt in tutto, sono stati cancellati, mentre sono entrati in esercizio 327 gigawatt di nuovi impianti. In pratica, grazie ai progetti cancellati, si è evitato di aggiungere alla capacità totale alimentata a carbone una seconda Cina, che ad oggi ha circa 1.047 gigawatt di potenza installata. Il 90% dei progetti attualmente in cantiere, evidenzia il rapporto, si trova in soli sei paesi: oltre alla Cina ci sono India, Indonesia, Vietnam, Turchia e Bangladesh.

In un recente rapporto di Ember, think-tank indipendente specializzato nell’analisi dei mercati energetici, si spiega però che in India, dove ci sono 27 gigawatt di nuovi impianti a carbone in via di realizzazione, è molto più conveniente investire in fonti rinnovabili con accumuli, tanto che i progetti a carbone sono definiti “zombie plants”.

Fonte: Il Sole 24 Ore