Perché in Italia ci sono ancora tanti morti di Covid, con sempre più anziani vaccinati?

Oltre un sesto della popolazione ha ricevuto almeno una dose di vaccino anti Covid, 4,3 milioni di persone anche il richiamo. Tra imprevisti e difformità territoriali avanza a ritmo mano a mano crescente la messa in sicurezza degli italiani. Per quasi la metà degli over 80 è stato completato l’intero ciclo di immunizzazione (il 79,2% ha già ricevuto una dose), fatto che le autorità sanitarie non hanno mancato di mettere in evidenza presentando l’ultimo rapporto sull’andamento dell’epidemia. Malgrado ciò i morti continuano a esser tanti (venerdì 16 aprile 429, sabato 17 aprile 310), numeri difficili da buttar giù a dispetto di quanto ci si potrebbe intuitivamente aspettare. La cosa si spiega, e per un’inversione sensibile della tendenza è solo questione di tempo.

Il carico residuo delle intensive

«Probabilmente visto che è la seconda dose che dà una copertura del vaccino massima, sono ancora poche le persone nelle classi di età più fragili. La sola prima iniezione copre chiaramente per il 50% dell’efficacia», dice Massimo Ciccozzi, responsabile dell’Unità di ricerca in Statistica medica ed Epidemiologia molecolare presso l’Università Campus Bio-Medico di Roma. «Teniamo conto anche che tra la prima e la seconda dose passano tre-quattro settimane e che gli anticorpi a protezione arrivano dopo due settimane dalla seconda dose. Abbiamo cinque-sei settimane dall’inizio della vaccinazione per avere una protezione massima ed è in questo lasso di tempo che le persone possono infettarsi». E una percentuale non indifferente nelle categorie fragili non coperte finisce in terapia intensiva.

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«Lì abbiamo ancora 3.417 pazienti ricoverati, una quota di questi può andare incontro a decesso, specialmente i più anziani e con presenza concomitante di più disturbi». Secondo gli ultimi dati disponibili aggiornati dall’Istituto superiore di sanità al 30 marzo 2021 l’età media dei pazienti deceduti e positivi a SARS-CoV-2 è 81 anni (il 43,9% donne). L’età mediana dei morti è più alta di oltre 30 anni rispetto a quella dei pazienti che hanno preso l’infezione. Tra le patologie preesistenti più comuni figurano ipertensione, diabete, cardiopatie di varia natura, insufficienza renale e obesità.

Per i monoclonali numeri in crescita

A motivare la persistenza del fenomeno qualcuno, tra gli esperti, ha chiamato in causa la scarsa appropriatezza delle cure, per quanto riguarda in particolare gli anticorpi monoclonali soltanto da poco entrati nell’uso corrente. Sono 2.140 finora i pazienti inseriti nei registri di monitoraggio di Aifa in Italia per un totale di 150 strutture prescriventi in 20 Regioni. Il ritardo accumulato ha il suo peso ma il trend è in miglioramento. Solo nella settimana dal 9 al 15 aprile sono state 736 le prescrizioni, con una media di circa 105 al giorno, pari a un aumento del 13,5% rispetto alla settimana precedente, quando erano state 647. Il 51% dei trattamenti effettuati dall’inizio delle somministrazioni, ovvero oltre 1.000, è con la combinazione con bamlanivimab e etesevimab, mentre 647 con il solo bamlanivimab e 172 con casirivimab e imdevimab. La Regione che ne ha somministrati di più è il Veneto (386) seguito da Lazio (293), Toscana (237), Lombardia (161) e Campania (130).

Revisione in vista per le cure domiciliari

«In Italia i monoclonali si possono usare solo in determinate condizioni stabilite dal medico curante che stila un rapporto e poi da quello ospedaliero responsabile della somministrazione del prodotto che va dato, comunque, entro poche ore dal sorgere dei sintomi con diagnosi che prevede un’alta probabilità di peggioramento. Non possono essere più dati per esempio a persone positive che peggiorano dopo una settimana ma che prima non facevano prevedere questo andamento», spiega l’epidemiologo. Si sta facendo strada però una possibile revisione delle linee guida per favorire ad esempio la somministrazione dei monoclonali a domicilio nel nuovo documento su cui è impegnato un apposito gruppo di lavoro istituito al ministero della Salute.

Fonte: Il Sole 24 Ore