Poste, collocamento in primavera. C’è un ruolo per le Fondazioni

Poste, collocamento in primavera. C’è un ruolo per le Fondazioni

Il 2024 si avvia verso la sua conclusione senza che il governo abbia raggiunto il target di incassi da privatizzazioni per rispettare le previsioni della manovra dello scorso anno, che indicava circa 20 miliardi in tre anni. La cessione di una tranche di Poste Italiane, messa sulla rampa di lancio a settembre, con tanto di nomina degli advisor, è stata bloccata a metà ottobre. Un’operazione con un incasso potenziale, ai valori di Borsa di questi giorni, di 2,4 miliardi di euro. Per rispettare la tabella di marcia di 20 miliardi di dismissioni nel triennio, quest’anno il ministero dell’Economia avrebbe dovuto incassare fra i 5 e 6 miliardi. Si è invece fermato a 4 miliardi, compreso 1,1 miliardi raccolti con la vendita di un’ulteriore quota di Mps avvenuta nelle scorse settimane.

Trascorso il giorno del ringraziamento statunitense, il 28 novembre, considerato dagli investitori anglosassoni l’ultima data utile prima della fine dell’anno per lanciare operazioni sul mercato e avere una buona risposta dagli parte degli acquirenti, si può affermare con certezza che l’Opv di Poste Italiane non sarà lanciata nel 2024. La prossima finestra utile per l’operazione, quella al quale guarda il ministero dell’Economia, è la primavera del 2025, dopo l’approvazione dei conti dei primi tre mesi e l’aggiornamento del piano industriale del gruppo guidato da Matteo Del Fante. L’azionista pubblico intende confermare lo schema messo in piedi per l’operazione che avrebbe dovuto svolgersi a metà ottobre: e cioè vendere una partecipazione intorno al 14%, per mantenere almeno in questa prima fase l’azionista pubblico con una partecipazione del 51%, tra il 35% circa controllato da Cdp e il resto dal Mef. L’offerta pubblica di vendita, per la quale la società aveva già depositato il prospetto in Consob per l’iter approvativo, prevede che una quota di maggioranza sia riservata agli investitori istituzionali, tra italiani ed esteri, e il resto ai risparmiatori, inclusi i dipendenti di Poste Italiane. Quale sia la percentuale riservata alla due diverse categorie sarà deciso solo al ridosso dell’operazione. E comunque la quota destinata al retail (categoria di azionisti la quale la premier ha dichiarato di preferire per Poste Italiane) in genere si conosce solo alla fine della vendita, perchè Mef e banche incaricate del collocamento in genere la aumentano verso la chiusura dell’Opv per aumentare “l’appetito” degli investitori e ottenere offerte di acquisto a prezzi più alti.

Dopo tanti tentannamenti e rinvii nel 2024, il lancio dell’Opv nel 2025 sembra quasi un percorso obbligato se si vuole mantenere l’impegno assunto in manovra. Il prossimo anno non ci saranno altre dismissioni “facili”, cioè azioni di società che possano essere collocate facilmente sul mercato perchè il loro valore è già espresso dalle quotazioni in Borsa e perchè il business garantisce un percorso di crescita. Poste sicuramente è uno dei pezzi che si possono collocare rapidamente e rappresenta un asset pregiato: l’ultima trimestrale ha confermato il percorso di sviluppo, con livelli record a livello di risultato operativo, che ha raggiunto per la prima volta 2,3 miliardi, e l’utile netto a quota 1,6 miliardi.

Possibile anche una seconda tranche del 15 per cento

Non è da escludere che al collocamento di una tranche del 14% in futuro possa seguire le dimissione della quota residua del Mef pari a un altro 15 per cento circa. Nel corso della prima Opv entreranno direttamente del capitale della società alcune fondazioni bancarie (come Cariplo, che ha avuto mandato dal consiglio a investire fino a 50 milioni, ma anche Cariverona, Cariparo e altre) , peraltro già azioniste di Cdp. La loro presenza nel capitale potrebbe costituire una base di investitori italiani, che potrebbe crescere ulteriormente in una ulteriore tranche, con l’obiettivo di aumentare il presidio italiano nel capitale di Poste nel momento in cui il ministero dell’Economia decidesse di uscire dal capitale, lasciando il controllo a Cdp. Se tutto questo avvenisse nel corso del 2025, il governo potrebbe essere “on track” sulla tabella di marcia annuale delle dismissioni, perchè avrebbe un incasso di 5 miliardi

Fonte: Il Sole 24 Ore