Prosciutto di Parma, produzione e vendite in calo. Boom per il preaffettato

Il Prosciutto di Parma chiude il 2020 con una riduzione della produzione del 2,2%: i prosciutti marchiati sono stati circa 8, 7 milioni, mentre le cosce avviate alla produzione sono state 7,8 milioni in diminuzione del 10% rispetto al 2019. Le vendite del Parma in Italia nei supermercati sono diminuite del 5,6%, mentre le esportazioni sono riuscite a contenere almeno in parte la crisi con un calo del 3% e 2,5 milioni di prosciutti esportati.Il segmento del preaffettato ha registrato un aumento del 21%, ma non è riuscito a compensare il calo generale poiché il preaffettato rappresenta solo il 10% del totale delle vendite.

«La pandemia – comunica il Consorzio – ha messo a dura prova il comparto e in particolare quelle imprese che si rivolgono al sistema della ristorazione (horeca): il protrarsi della chiusura di questo canale e le difficoltà del banco taglio nella gdo soprattutto nella prima parte del lockdown hanno determinato un significativo calo delle vendite con forti ripercussioni anche sulla produzione».

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Il calo del mercato e la chiusura dei ristoranti

«La pandemia ha indubbiamente accelerato un trend che era già in corso da diversi anni ovvero la crescita del Prosciutto di Parma preconfezionato – ha commentato il presidnete del Consorzio Vittorio Capanna – favorita non solo dall’effetto del confinamento, ma anche da prezzi particolarmente bassi e dall’allungamento della shelf-life della vaschetta, un aspetto fondamentale per i Paesi più lontani».

L’obiettivo dichiarato del Consorzio «sarà proprio quello di consolidare i brillanti risultati del preaffettato continuando a investire e fidelizzando quei consumatori che hanno deciso di acquistare il Parma in vaschetta».

«Il 2021 si preannuncia ancora difficile – ha aggiunto il presidente –  almeno nella prima parte dell’anno, ma si notano comunque i primi segnali di ripresa della domanda che con la riapertura della ristorazione e del settore alberghiero, si spera, porteranno a una crescita dei prezzi all’ingrosso attualmente ancora non remunerativi».

Fonte: Il Sole 24 Ore