Quando lo smartphone può entrare nello zainetto di un bambino? Le regole vanno scritte

Partiamo da un dato, indiscutibile e ineluttabile: il tempo. Secondo l’ultima indagine dal titolo “Tra realtà e Metaverso. Adolescenti e genitori nel mondo digitale” elaborata da Telefono Azzurro, il 50% dei ragazzi tra i 12 e i 18 anni passa dalle due alle tre ore al giorno sui social e chattando. La prima domanda che è lecito porsi è: sono tante o poche? La risposta è dipende, in primis dal contesto. Se uno vive in attesa di potere giocare ai videogiochi, guardare una serie tv o scorrere post e video sui social allora anche dieci minuti possono essere tantissimi. Se infatti approfondiamo le risposte ottenute su un campione di 804 interviste a genitori di ragazzi tra i 12 ed i 18 anni scopriamo che il 14% passa sui social dalle quattro alle sei ore al giorno, il 4% più di sei ore al giorno e il 3% è sempre connesso.

Prima di occuparci di quel 3 per cento occorre capire che dopo due anni di pandemia qualcosa è cambiato forse per sempre.

È vero che in termini di connessione siamo tornati ai livelli di pandemia ma nel frattempo è aumentato il tempo sui social e anche la varietà di ecosistemi digitali (streaming, gaming, social). Se infatti il punto di accesso è lo smartphone per nove intervistati su dieci, i luoghi di intrattenimento vanno dai giochi online dove si comunica con la voce con le cuffie alle chat di Twitch durante le dirette dei content creator. Da sistemi interattivi come appunto il videogioco a passivi come i video e le serie tv. Si aggiungono i chatbot. E non c’è solo ChatGpt ma anche Replica che è stata bloccata dal Garante della privacy. Lo stop è arrivato dopo numerose segnalazioni che denunciavano comportamenti pericolosi che il software mostrava nelle interazioni con i minori e persone emotivamente fragili.

Va detto che la maggiore parte di questi ecosistemi possono essere gestiti da software di parental control. Sulle console e sui telefonini, sui computer come nei servizi di streaming i genitori possono monitorare o bloccare l’accesso a determinate attività da parte del bambino (siti pornografici, immagini violente o pagine con parole chiave) e anche di impostare il tempo di utilizzo di computer, tv, smartphone e tablet. È sempre più semplice ma serve un minimo di alfabetizzazione digitale. Serve mettersi in gioco, studiare un minimo per non farsi fregare e non rinunciare al ruolo di genitore. Esattamente come avviene quando si impone l’orario di rientro a casa o si fissa il timer i cartoni animati.

E comunque tocca farsene una ragione. Quando gli smartphone cominciano a entrare negli zainetti degli amici di un minore nessuno può evitare che vostro figlio venga esposto a contenuti inappropriati. Ci sarà sempre quello che ha craccato lo smartphone o ha eluso i filtri famigliare. E non è colpa di nessuno. La violenza nei videogiochi, il linguaggio del rap nelle canzoni o l’estetica della ricchezza e della bellezza su Instagram sono prodotti sociali, non dipendono dal medium che li veicola, li puoi discutere, li devi etichettare per fasce d’età ma non li puoi censurare.

Fonte: Il Sole 24 Ore