Rotterdam, Anversa e Amburgo: megaporti e campioni di sostenibilità

Le tre porte d’Europa sono affacciate sul Mare del Nord, a poche centinaia di chilometri di distanza tra loro. Un quarto del traffico marittimo europeo passa da quei tre titanici varchi: l’olandese Rotterdam, la maggiore con 441 milioni di tonnellate di merci movimentate nel 2018; Anversa, principale fonte della ricchezza belga (212 milioni di tonnellate) e la tedesca Amburgo (118 milioni di tonnellate).

Fino a qualche decennio fa i tre giganti del mare del Nord erano tra i luoghi più inquinati d’Europa. Circondati da enormi impianti industriali e petrolchimici, riuscivano a violentare l’ambiente in ogni modo: dalle emissioni atmosferiche alla produzione di rifiuti, dagli scarichi nelle acque all’inquinamento acustico. Dagli anni Settanta si è fatta strada una sensibilità ecologica che – prima a piccoli passi, poi a grandi falcate – ha cambiato volto ai tre porti e alle tre grandi città che li abbracciano. Ormai diventati campioni di sostenibilità, i tre scali saranno destinati a tagliare nuovi traguardi nelle tecnologie verdi anche grazie alla “Sustainable and Smart Mobility Strategy”, varata dalla Ue il 9 dicembre.

Loading…

Rotterdam, regina dell’economia circolare

Situata per tre quarti sotto il livello per mare, abituata da sempre a lottare con le acque, rasa completamente al suolo dalla Luftwaffe tedesca nel 1940, Rotterdam ha fatto di resilienza e operosità le sue parole d’ordine. Ricostruita con mano futuristica tanto da meritarsi l’appellativo di “Manhattan sulla Mosa” e dotata dagli anni Cinquanta di un sistema di dighe che farebbe invidia a Venezia, la seconda città olandese è diventata il primo porto d’Europa (e fino al 2004 del mondo) non solo grazie alla sua straordinaria posizione geografica – affacciata sul Mare del Nord e intrecciata ai delta di Reno e Mosa – ma anche alla carica imprenditoriale dei “Rotterdammer”, incarnata dal motto locale «Niet lullen, maar poetsen», meno chiacchiere e più fatti.

È con questo spirito che il gigantesco scalo – profondo 40 chilometri, con distese di container che si perdono all’orizzonte e foreste di gru navali, e che dà lavoro a 385mila persone – vuole diventare il laboratorio mondiale di innovazione nell’economia circolare. Nonostante l’aumento del traffico, nel biennio 2018/19 il polo industriale portuale ha abbattuto le emissioni del 13,6% (4,2 milioni di tonnellate). Dal 2005 al 2018 le sole raffinerie hanno ridotto del 20% la CO2, a fronte di un aumento della produzione del 4%.

«Abbiamo previsto tre fasi per la nostra rivoluzione green – spiega Sjaak Poppe, portavoce del Porto di Rotterdam per la transizione energetica -: adeguamento delle infrastrutture, transizione energetica e passaggio completo a un’economia circolare. Il primo step prevede la costruzione di una fitta rete di speciali tubature per connettere tutti gli impianti industriali dell’area tra loro e con il Mare del Nord, dove verrà stoccata la CO2 “catturata” durante i processi produttivi. Le condotte serviranno anche a utilizzare il calore prodotto dall’industria per riscaldare le abitazioni. La seconda fase punta a fare di Rotterdam un hub internazionale per la produzione e il trasporto di idrogeno, ottenuto grazie all’energia pulita prodotta dagli impianti eolici in costruzione nel Mare del Nord, oltre che importata. Il terzo stadio è quello dell’economia circolare vera e propria: un ecosistema in cui trasformeremo ogni tipo di scarto industriale (calore, vapore, rifiuti, CO2) in energia, carburanti green o materie prime».

Fonte: Il Sole 24 Ore