Smart working, benefit e meritocrazia: così la pandemia incide sugli stipendi

La crescita media delle retribuzioni in Italia si attesterà quest’anno intorno al 2,1%, una percentuale inferiore sia all’incremento effettivamente registrato nel 2020 (pari al 2,4%) sia alle precedenti stime per l’anno in corso (2,5%). L’impatto della Covid-19 sui budget di spesa delle aziende della Penisola si fa quindi sentire e lo scenario è tutto sommato simile in tutta l’Europa occidentale, con Olanda, Germania e Regno Unito che mostrano gli aumenti salariali più consistenti (fra il 2,5 e il 2,4%) e Francia e Spagna che invece prevedono un differenziale positivo leggermente più contenuto (al 2%).

Molto più robusti, per contro, gli incrementi di Cina e India, per cui si ipotizzano variazioni del 5,4% e 6,4% (dovute essenzialmente a un più alto tasso di inflazione), mentre gli Stati Uniti dovrebbero registrare uno scatto in avanti del 2,7%.

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L’ultima edizione del “Salary Budget Planning Report” stilato da Willis Towers Watson sulla base di 18mila risposte raccolte fra ottobre e novembre 2020 lascia quindi adito a un cauto ottimismo per il 2021 ed evidenzia differenze a livello settoriale rispetto alla diversa intensità con la quale le aziende italiane sono state colpite dalla pandemia. L’automotive, per esempio, si dimostra il comparto più pessimista circa la ripresa dei salari, fermandosi all’1,7%. Fanno meglio chimica, largo consumo e retail (per cui si parla di aumenti dell’’1,9%) mentre per i settori che hanno tratto “vantaggio” dalla pandemia – e nella fattispecie utility, hi-tech ed energia, farmaceutico e media – gli incrementi previsti vanno dal 2,2 fino al 2,5%. In linea col dato medio, infine, è il mondo dei servizi finanziari, per cui il salto in avanti degli stipendi è stimato al 2,1%.

Quali indicazioni si possono trarre dal rapporto di cui sopra, anche rispetto al processo di accelerata trasformazione (tecnologica e soprattutto organizzativa) che sta avvenendo in molte aziende? Se guardiamo al puro aspetto economico, come ha osservato Rodolfo Monni, Responsabile indagini retributive di Willis Towers Watson, “il tasso di crescita previsto per l’Italia va inteso come moderatamente positivo e riflette un sistema a due livelli di contrattazione, nazionale e aziendale, che ha garantito in modo continuativo a quadri e operai aumenti di retribuzione minimi, nell’ordine dell’1,5% medio, anche nei momenti di crisi”.

Diversa, invece, la situazione per manager e dirigenti, per cui si è in larga parte adottato un modello di incentivazione variabile e meritocratica, legata a premi e risultati raggiunti che ha garantito incrementi medi nell’ordine del 2-2,5% anno.Se nel corso degli anni, gli aumenti hanno compensato nominalmente l’effetto dell’inflazione, il rovescio della medaglia è rappresentato dal rischio di erosione del budget destinato a premiare i lavoratori che non appartengono alla cerchia del management.

Fonte: Il Sole 24 Ore