Vittorio Zibetti (Gallus): «Tutta la filiera della moda è colpita, il lockdown frena anche il tessile»

«A distanza di un anno dall’inizio della pandemia, come cittadino e imprenditore, non vedo motivi per essere ottimista. È come se la politica e le istituzioni, nazionali e locali, continuassero a improvvisare, facendo scelte sempre più incomprensibili e irresponsabili. E non mi riferisco alla crisi di Governo». Vittorio Zibetti è titolare della Gallus , azienda lombarda specializzata in tessuti stampati per l’abbigliamento femminile. Prodotti made in Italy e per definizione di qualità, ma non di lusso: i clienti sono le aziende, italiane e straniere, del segmento del fast fashion. Aziende – e relativi marchi – con una filiera relativamente corta e time-to-market molto diversi dall’alta gamma, che programma con almeno un anno di anticipo: basti pensare che le sfilate uomo che da ieri si sono spostate da Milano a Parigi mostrano le collezioni dell’autunno-inverno 2021-2022.

Quali sono stati gli effetti dei lockdown sulla Gallus?

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Devastanti: dal giorno in cui le chiusure dei negozi diventano operative i telefoni dell’azienda smettono di squillare. È successo per il primo e il secondo lockdown e sta accadendo in questi giorni. Il 2019 si era chiuso con un fatturato di circa 45 milioni, per il 2020 stimiamo una perdita del 30% e il 2021 sarà forse ancora più duro, perché il congelamento degli ordini che vediamo in queste settimane pesa sui conti del primo semestre. E sul secondo non posso permettermi di essere molto fiducioso, anche se un imprenditore dovrebbe sempre essere ottimista.

Non le danno fiducia l’arrivo dei vaccini e il Recovery Fund?

La scienza fa il suo corso e non posso che augurarmi che la campagna di vaccinazione prosegua per il meglio in Italia e all’estero. Non è il mio campo, spero che il nostro sistema sanitario, che ha tanti punti di forza, regga. Ma soprattutto mi auguro che funzioni la gestione, l’implementazione, la logistica. Purtroppo quello che abbiamo visto all’inizio della pandemia, con gli sbagli, per usare un eufemismo, sulle forniture e sulla mancanza di un piano pandemico, qualche dubbio me lo lasciano. È il Recovery Plan però che mi preoccupa davvero e il debito pubblico che aumenta senza che nessuno dica che per reggere livelli simili, visto che non siamo gli Stati Uniti, deve ripartire il Pil. Ma il Pil non riparte con aiuti a pioggia.

Fonte: Il Sole 24 Ore