Acciaio, terzo anno in frenata «Necessarie più aggregazioni»

Acciaio, terzo anno in frenata «Necessarie più aggregazioni»

L’acciaio italiano resta sotto tiro, e conferma, pur se con dinamiche diverse lungo la filiera, le difficoltà di una fase congiunturale avversa che non accenna a invertire la tendenza. Dopo la frenata registrata del 2023 (rispetto al «biennio d’oro» 2021-22), la discesa è proseguita nel 2024, con un fatturato sceso del 9,1% e un taglio all’utile del 30%. Anche quest’anno – secondo le prime indicazioni – ci si attende un’ulteriore contrazione, con il rischio che le perdite nell’ultima riga del bilancio, già apparse quest’anno in alcune situazioni, si estendano a macchia d’olio. È il quadro disegnato da Bilanci d’Acciaio, l’analisi dell’Ufficio studi di Siderweb condotta su 1.764 imprese della filiera, presentato ieri a Brescia. I numeri certificano le difficoltà ma spiegano anche che la filiera non è prostrata. Il comparto sta mostrando una significativa capacità di assorbire l’urto di questo triennio avverso e gli indici patrimoniali si confermano solidi (come nel resto dell’Europa, d’altra parte) anche grazie alla capacità di autofinanziamento di molti dei protagonisti della filiera. Da qui, è la convinzione dei protagonisti del mercato, è necessario ripartire per non compromettere ulteriormente la capacità di competere del settore. «I dati dei bilanci 2024 e i nostri sondaggi sul 2025 fotografano le criticità reali del settore, che sono la pressione sugli Ebitda e una filiera che resta molto frammentata – spiega Paolo Morandi, amministratore delegato di Siderweb -. Il 2024 è stato caratterizzato da un contesto competitivo, nel quale si sono intrecciati fattori e incognite legate alla trasformazione tecnologica, geopolitica, energetica e ambientale, dazi e normative europee. Il futuro richiede scelte e non più alibi: serve una maggiore visione, anche in ottica di aggregazione lungo la filiera, investendo sui giovani e sulle competenze». Nel dettaglio, nell’ultimo anno rendicontato dai bilanci analizzati da Siderweb il mercato dell’acciaio italiano ha generato un fatturato di 70,5 miliardi di euro (i dati non comprendono il bilancio di Acciaierie d’Italia), 7 miliardi in meno rispetto all’anno prima. Nello stesso periodo l’Ebitda è stato inferiore ai 5 miliardi (4,9) in calo del 29% rispetto ai 6,9 milioni precedenti, mentre l’utile è passato da 3 a 2,1 miliardi, e il valore aggiunto è sceso a 10,36 miliardi. Preoccupa il valore aggiunto dei prodotti, a conferma della pressione di costo dell’energia, materie prime e semilavorati. «Considerando l’intero ultimo triennio, la riduzione media del fatturato è stata del 12,1%» ha spiegato Claudio Teodori, docente dell’Università degli Studi di Brescia, curatore della ricerca. In calo di 4 punti percentuali l’incidenza dell’Ebitda sulle vendite, «a causa di un minore assorbimento del costo del lavoro, dovuto quasi esclusivamente alla minore attività». Rispetto agli indici di redditività, quelli di solidità hanno mostrato oscillazioni più contenute: «nel triennio – ha aggiunto Teodori – c’è stato un progressivo miglioramento dovuto sia alla riduzione dei debiti sia all’incremento dei mezzi propri, con il capitale investito che ha presentato variazioni ridotte». In proiezione, però, l’anno che sta per terminare non consegna indicazioni confortanti. Le problematiche emerse nel 2023 e nel 204 i«peggioreranno ulteriormente – ha aggiunto Teodori, illustrando i risultati di un’altra indagine- . La metà delle imprese intervistate si aspetta di ridurre ulteriormente il fatturato pensa di ridurre il fatturato e anche per quanto riguarda la capacità di produrre flussi finanziari la percezione resta negativa. Solo una impresa su cinque, poi, pensa di aumentare l’utile netto, mentre il 45% pensa di ridurlo: significa – ha aggiunto il docente – che molte realtà chiuderanno con bilanci in perdita, se non l’hanno già fatto nel 2024. Alcuni temi, come la crescita per linee esterne e le aggregazioni, così come l’aumento del fatturato estero, sono vissuti come cruciali, ma le imprese chiedono di potere essere messe nelle condizioni per potere investire». Con questi marginalità sembra complesso. «Il 2026 presenta molte incognite, rappresentate dall’effetto dei dazi Usa sui settori utilizzatori e dalle nuove disorsioni della domanda estera – ha ammonito Gianfranco Tosini, dell’ufficio studi di Siderweb -. In ogni caso, con si tornerà più ai livelli produttivi del 2022».

Fonte: Il Sole 24 Ore