
Adele Bei, una vita per la libertà e un lavoro giusto
Bene ha fatto l’Istituto Gramsci delle Marche, a sostenere la biografia di Mirko Sebastiani dedicata alla figura di Adele Bei, Madre Costituente e prima ancora protagonista della Resistenza a Roma.
Poco conosciuta, oscurata dalle Madri più note della nostra Repubblica (come Nilde Iotti, Lina Merlin, Teresa Mattei) – sempre che si possa parlare di notorietà per donne che meriterebbero molto di più dell’attenzione loro riconosciuta dalle voci del femminismo, dell’Anpi e di altre formazioni politiche e civili – ha avuto una vita che è un romanzo e non si esaurisce nei momenti chiave della nostra democrazia.
Nata nel 1904 in un’umile famiglia socialista di Cantiano, nelle Marche, terza di undici figli, costretta a lasciare la scuola per assicurare un aiuto in casa facendo la bracciante, Adele sposa a 18 anni Mario Ciufoli, conterraneo che aderisce alla causa comunista dissociandosi dal Psi nel 1921. I due giovani antifascisti sono costretti ad andare all’estero, non potendo vivere la loro militanza in un Paese mortificato dal fascismo: i loro due figli, Angelina e Ferrero, nascono in Belgio e Lussemburgo, poi si trasferiranno in Russia, come accade a tanti figli degli iscritti al Pci. Lei fa la fenicottera, cioè l’ “agente segreto” che torna in Italia sotto mentite spoglie per trasmettere informazioni ai compagni e distribuire materiale di propaganda. Un giorno del ’33, però, accade quel che si temeva: viene tradita da una spia, individuata e arrestata dalla polizia fascista.
Non dice una parola sui compagni e la loro organizzazione, nonostante gli insulti, le minacce, i pestaggi, e cinque mesi in una cella di isolamento al Mantellate, carcere femminile di Roma. Di fronte al tribunale speciale per la difesa dello Stato, che cerca di fare leva sul senso di colpa del suo essere madre, ribatte sprezzante: «Non preoccupatevi dei miei figli, essi sono in buone mani, pensate piuttosto ai milioni di grandi e piccoli che per colpa vostra soffrono le pene più disumane in Italia. È appunto per questo, perché ho a cuore la loro sorte, che oggi mi trovo di fronte a voi». Parole coraggiose e pesanti come la condanna che le viene inflitta: diciotto anni di reclusione. Ne sconterà sette, poi la pena verrà convertita nel confino a Ventotene, dove conosce la prima linea del Pci, e non solo. Incontra Sandro Pertini e soprattutto Giuseppe Di Vittorio, lei che tiene alle condizioni delle lavoratrici e dei lavoratori italiani. Che si batte per chi è sfruttato e vittima di contratti iniqui. Che crede in uno Stato sociale attento ai più poveri e sfortunati, che un lavoro non ce l’hanno.
Non è un caso che sia la Cgil a indicarla alla Consulta nazionale, l’organismo che precede la Costituente, dove verrà eletta nel Pci. E sempre nel partito comunista, Adele Bei sarà parte dei parlamentari delle successive tre legislature, spendendosi per il tema del lavoro e per la sua terra.
Fonte: Il Sole 24 Ore