
Affido condiviso, cosa prevede il testo. Garante infanzia: prevalgono i diritti dei genitori, non quelli dei figli
«Nel disegno di legge sull’affido condiviso pare registrarsi un arretramento rispetto a un’attenta valutazione dei diritti dei bambini, con il rischio che prevalga una prospettiva di tipo adultocentrico». Lo afferma Marina Terragni, Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, in audizione dalla Commissione giustizia del Senato sul disegno di legge sull’affido condiviso. Continua a far discutere il disegno di legge S 832, che a molti – autorità garante compresa, sembra più orientato a tutelare gli interessi degli adulti rispetto a quelli dei bambini. Sul testo è stata lanciata anche una raccolta di firme su Change.org intitolata “No al ddl Salomone”, che ha già raccolto 1.638 firme alla data del 9 aprile 2025. Terragni ricorda che il diritto alla bigenitorialità «è anzitutto, un diritto del minore prima ancora dei genitori».
Dalla bigenitorialità alla mediazione, cosa prevede il disegno di legge
Il contestato disegno di legge sull’affido condiviso, sottoscritto da 14 senatori della maggioranza – primo firmatario Alberto Balboni (FdI) – prevede, fra le altre, che il minore abbia un doppio domicilio presso entrambi i genitori. Il testo parla di bigenitorialità perfetta, che molti però ritengono possa tradursi in un attacco alle madri, visto che fra i promotori sono presenti molte associazioni di padri separati. Il rischio, sostengono i detrattori del provvediment, è che il bambino debba avere due case e due vite: dovrà obbligatoriamente e alternativamente vivere per lo stesso tempo nella casa materna e in quella paterna. L’ assegnazione della casa familiare, poi, potrà essere disposta solo in favore dei figli: i genitori dovrebbero alternarsi secondo i periodi di custodia dei figli concordati tra di loro, o stabiliti dal giudice. IL testo prevede l’obbligo di mediazione familiare, un Piano genitoriale – congiunto o disgiunto – nei casi di disaccordo in cui la mediazione familiare sia stata rifiutata o fallita. Il testo prevede, inoltre, all’articolo 6, che il giudice possa, «per gravi motivi ordinare che la prole sia collocata presso una terza persona, preferibilmente dell’ambito familiare o, nell’impossibilità, in una comunità di tipo familiare». Il testo è all’esame della commissione della Giustizia del Senato in sede redigente. Una procedura accelerata: la commissione esamina e vota articolo per articolo il disegno di legge, mentre in Assemblea si svolge solo la votazione finale sul provvedimento nel suo complesso. Le femministe di Radfem Italia hanno lanciato un allarme pubblico, scrivendo alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, denunciando che il ddl che “taglierebbe” i figli a metà in caso di separazione.
L’interesse del minore è superiore a quello degli adulti
«Nell’introduzione al testo di legge – sottolinea Terragni – si fa riferimento alla Carta dei diritti dei figli nella separazione dei genitori introdotta dall’Autorità Garante nel 2018. Il concetto di bigenitorialità espresso in quella Carta non sembra però corrispondere all’idea di bigenitorialità del ddl. Lì la bigenitorialità, ovvero la possibilità che in caso di separazione il minore possa mantenere efficaci ed armoniosi rapporti con entrambi i genitori, è nella chiave dell’interesse del minore, sempre superiore rispetto a quello degli adulti. Un abito su misura cucito di volta in volta, caso per caso e con tutta la necessaria flessibilità a vantaggio dei figli, e non un diritto dei genitori a una spartizione perfetta o quasi perfetta, due vite, due case».
No al bambino con due domicili: impensabile per i più piccoli
Il testo elimina il concetto di “residenza abituale” del minore e prevede l’obbligo che il bambino viva in due domicili: alternativamente in quello del padre e in quello della madre e con identici tempi permanenza. Questa soluzione, secondo l’autorità garante Marina Terragni, nega il diritto del minorenne di godere della casa come centro degli affetti e delle consuetudini. «Il doppio domicilio comporta un aggravio di sofferenza per minori – spiega Terragni – già provati dal disgregarsi del nucleo familiare con la perdita dei riferimenti garantiti da una continuità abitativa, con lo sradicamento dai luoghi abituali, dagli amici, con la fatica e lo stress di una vita sdoppiata in due case magari lontane fra loro. Il minore non può diventare soggetto-oggetto nei cui confronti gli adulti rivendicano posizioni di diritto». La garante ha spiegato che «eliminando il concetto di residenza abituale e stabilendo l’obbligo di domicilio paritetico in due case, oltre a operare un’invasione dello Stato nella sfera privata», si «travolge l’istituto dell’assegnazione della casa familiare intesa come l’abitazione presso la quale si è svolta la vita della famiglia durante la convivenza, l’“habitat” domestico centro degli affetti e delle consuetudini. Imponendo due domicili in modo paritetico si nega il diritto del minore a godere di un centro e di un habitat definito». E, secondo Terragni, «a maggior ragione ciò è impensabile per i bambini più piccoli: oltre che per l’allattamento, la bigenitorialità non può essere intesa come ’paritarismo’ che occulta la differenza tra il ruolo materno e quello del padre».
Il mantenimento diretto e il rischio dei differenti tenori di vita
Quanto alla sostituzione dell’attuale assegno di mantenimento con il mantenimento diretto da parte del padre e della madre, questo potrebbe provocare – secondo Terragni – differenti tenori di vita del figlio a seconda del genitore con il quale si trova in quel momento. «Questa oggettiva disparità, quasi sempre a svantaggio della madre potrebbe comportare anche il rischio in prospettiva che diventi sempre più rara la disponibilità alla maternità».
Fonte: Il Sole 24 Ore