
Ag Digital Media (Freeda) alza bandiera bianca
Era nata nel 2016 con l’ambizione di farsi strada come media company rivolta all’universo femminile e alle nuove generazioni. Dopo meno di dieci anni però Ag Digital Media, la scale up milanese attiva sui social con la piattaforma Freeda, va ad alzare bandiera bianca. A quanto verificato dal Sole 24 Ore la società ha depositato lunedì l’istanza di liquidazione volontaria.
Dietro la decisione c’è un percorso andato avanti fra alti (nella prima parte di vita) e bassi (dopo il 2020) in un settore, quello dell’advertising digitale, alle prese con un cambio strutturale degli investimenti e nel quale le big tech da tempo ormai dettano legge. Questa iniziativa – che vede come fondatori sono Gianluigi Casole e il presidente Andrea Scotti Calderini – ha incontrato il favore di imprenditori e investitori che hanno scommesso. Il libro soci è di un certo peso. L’azionista più importante di Ag Digital Media è il fondo francese di venture capital Fpci Alven Capital V, con un complessivo 32,28%. I due fondatori detengono invece intorno al 12,4% ciascuno; a seguire Ginevra Elkann (7,21%). Fra i soci poi c’è anche la Fidim dei fratelli Rovati, come la Our Group di Remo Ruffini patron di Moncler e con una piccola quota (0,4%) Luigi Berlusconi.
Il nome — un gioco tra “freedom” e Frida Kahlo — diceva già tutto: libertà femminile, rappresentazione autentica, estetica curata e contenuti editoriali disegnati per lo scrolling. L’ambizione si è tradotta in investimenti per oltre 20 milioni raccolti da fondi come Alven Capital e Endeavor Catalyst, presenza in tre Paesi (Italia, Spagna, Uk), 250 dipendenti al picco operativo. Poi però è arrivato il Covid. E con il 2020 in Ag Digital Media si inizia a comprendere che forse lo sforzo in Spagna e Uk è stato superiore alle possibilità.
Da qui l’idea di andare oltre l’advertising digitale. Nasce così la branch Marketing digital services. La business unit più redditizia, Freeda Platform, in soli tre anni ha generato oltre 20 milioni di ricavi, al fianco di circa 6 milioni di advertising digitale. Poi però, nel 2024, il colpo decisivo: la perdita di due o tre contratti strategici ha eroso il 30% del fatturato, compromettendo l’equilibrio finanziario dell’intero gruppo. Da lì il tentativo — mai realmente coronato — di vendere il ramo media. Le trattative si sono estese poi anche alla piattaforma tecnologica. La situazione si è aggravata rapidamente. Nei primi mesi del 2025 viene avviata la procedura di composizione negoziata della crisi. Ma il tempo non è bastato.
Fonte: Il Sole 24 Ore