Agire su concessioni e reti per tagliare i costi in bolletta

Agire su concessioni e reti per tagliare i costi in bolletta

Spiace constatare che, come già nella recente assemblea pubblica di Elettricità Futura, il suo Presidente, nell’intervista pubblicata su questo giornale il 22 ottobre, si concentri sul prezzo di borsa elettrica, cioè su meno della metà del prezzo che oggi paghiamo in bolletta. Senza alcun cenno all’effetto delle soluzioni proposte per abbassarlo (al 2030 il 65% dell’energia elettrica dovrebbe venire da solare ed eolico) sugli altri costi in bolletta. Ed è soprattutto per questo che riteniamo si debba ricercare il mix tecnologico ottimale, evitando l’errore di esagerare con le fonti variabili, stagionali e contemporanee tra loro, come appunto solare ed eolico. Qui vorremmo tuttavia insistere su due punti essenziali della nostra proposta sull’energia, volti a ridurre a breve termine il prezzo in bolletta, l’unico che davvero conta.

Partiamo dal prezzo di borsa. Le regole con cui si forma sono uguali in tutt’Europa. Perciò, se in Italia nel 2024 è stato il più alto tra i grandi Paesi UE la prima ragione è il mix tecnologico con cui la generiamo. In Italia, nel 2024, l’elettricità a gas ha determinato il prezzo di borsa per il 65 per cento delle ore, sebbene a gas sia stato prodotto solo il 42 per cento della domanda. E questo ci sta, per via del prezzo marginale. Va però aggiunto che, quando, nel 13 per cento delle ore, l’ha determinato l’energia idroelettrica, il prezzo offerto dai gestori in concessione di grandi impianti, completamente ammortizzati, è stato praticamente uguale a quello a gas. Col risultato che i 50 TWh idroelettrici prodotti nel 2024 sono stati remunerati come fossero a gas, mentre coi costi del gas non c’entrano proprio nulla. Ma quali sono i costi tecnici di esercizio e manutenzione di questi impianti, che -ricordiamolo- nel decennio 2011-2020, precedente la “crisi” del gas, venivano remunerati a circa 57 €/MWh? Il Presidente dell’associazione dei produttori sostiene che “20-30 €/MWh non coprono nemmeno gli oneri concessori”, senza fornire indicazioni sui costi tecnici; peraltro “oneri concessori” più alti sono giustificati proprio dagli elevati margini. È proprio per questo che abbiamo proposto al governo di mettere a bando quelle concessioni alla loro scadenza naturale, prevedendo la remunerazione dell’energia con contratti a due vie, aggiudicati con asta a ribasso a partire dal prezzo medio di borsa pre-crisi, aggiornato per l’inflazione. Ci sembra l’unica soluzione, vista la riottosità degli attuali gestori ad accettare una remunerazione equa, che tenga conto dei reali costi sostenuti, qualora il governo riuscisse a spuntarla nel negoziato a Bruxelles per il rinnovo delle concessioni senza gara. A meno che gli attuali gestori non cambino idea. Del resto, in molti casi sono gli stessi soggetti a cui i contratti a due vie vanno benissimo quando sono applicati a impianti fotovoltaici che, generando tutti insieme nelle stesse ore, hanno l’effetto di ridurre drasticamente in quelle ore il prezzo di borsa. E allora una tariffa garantita è di gran lunga preferibile. Applicando gli stessi contratti alle concessioni geotermiche e idroelettriche, si risparmierebbero circa 3 miliardi all’anno sul prezzo di borsa elettrica.

Quanto all’altra metà della bolletta, i costi della trasmissione e della distribuzione dell’energia elettrica meritano attenzione. Dopo la liberalizzazione del mercato elettrico, circa 25 anni fa, in tutti i Paesi UE sono attività ritenute a giusta ragione “monopoli naturali” e pertanto assegnate in concessione a società sottoposte a stretta regolazione da parte della competente autorità, sia per le questioni tecniche che per la remunerazione. In Italia la trasmissione è affidata a Terna; la distribuzione per l’85 per cento a e-distribuzione e per il resto ad altre società (afferenti ad Acea, A2A, ecc.).

In Francia, RTE ha il ruolo di Terna; la società di distribuzione di Edf quello di e-distribuzione; in Germania, il principale operatore di distribuzione fa riferimento a Eon e TenneT è il principale operatore di trasmissione. Tutte, in Italia, in Germania, in Francia, fanno lo stesso mestiere, investono e sostengono costi di gestione per fornire i loro servizi, della migliore qualità possibile, e hanno ricavi garantiti, senza rischi. Nessuno qui chiede di lesinare sulle spese necessarie a garantire qualità e affidabilità. Il punto in discussione sono i profitti. I bilanci di tutte queste società sono pubblicati sui rispettivi siti. Basta leggerli per scoprire che, stabilmente, non eccezionalmente in qualche anno, le società italiane hanno EBITDA ed EBIT da poco meno di 2 sino a 3,5 volte quelli delle omologhe francese e tedesca. Un paio di esempi: nel triennio 2022-2024 l’EBITDA di e-distribuzione è stato l’82% più alto di quello della sua omologa francese e il 65% più alto dell’omologa tedesca; nello stesso triennio, l’EBIT medio di Terna è stato del 44%, tre volte e mezza quello medio della francese RTE. Dal presidente di Elettricità Futura ci aspettiamo che stia a questo e non divaghi contestando il paragone, mediaticamente efficace, tra l’EBITDA 2024 di e-distribuzione (54%) e quello di Hermes (40%): che una preziosa borsa da signora o un costoso foulard sia altro da un trasformatore lo sappiamo bene anche noi.

Fonte: Il Sole 24 Ore