
Aiuti Covid, sul riporto perdite sono in corso accertamenti del Fisco
Molte imprese stanno ricevendo in queste settimane schemi di atto o inviti al contraddittorio che fanno riferimento ai vari contributi concessi nel periodo caratterizzato dalla pandemia Covid-19, a suo tempo previsti, in varie forme, allo scopo di evitare «il rischio di una grave recessione che riguarda l’intera economia dell’UE, dal momento che colpisce imprese, posti di lavoro e famiglie» (così il «Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza del Covid-19» della Commissione UE).
L’oggetto delle contestazioni
La particolarità è che le contestazioni non riguardano l’assenza dei requisiti per poter accedere a tali aiuti, quanto, piuttosto, il riporto delle perdite fiscali di periodo che, secondo la tesi degli uffici, avrebbe dovuto essere depurato dell’importo dell’aiuto stesso. La ragione è che il contributo andrebbe qualificato come «provento esente» e in quanto tale da defalcare dalla perdita riportabile ai sensi del terzo periodo del comma 1 dell’articolo 84 del Tuir. Ricordiamo che i singoli provvedimenti istitutivi dei vari contributi e, in generale, l’articolo 10-bis, comma 1, del Dl 137/2020 hanno stabilito che gli aiuti «da chiunque erogati e indipendentemente dalle modalità di fruizione e contabilizzazione… non concorrono alla formazione del reddito imponibile» e della base imponibile Irap e non rilevano ai fini del rapporto di cui agli articoli 61 e 109, comma 5, del Tuir. Per cui è evidente che la norma non inquadra tali proventi come «esenti», limitandosi a tracciarne la non concorrenza alla formazione dell’imponibile.
Negli atti notificati ai contribuenti si legge che tra gli obiettivi delle misure di aiuto non vi sarebbe stato quello di estendere il vantaggio alle annualità post-Covid mediante la riduzione (tramite il riporto delle perdite) del carico fiscale in tali periodi d’imposta e prova ne sarebbe il mancato richiamo delle norme all’articolo 84 del Tuir. Altrimenti, sempre secondo gli uffici, verrebbe riconosciuto alle imprese un «doppio beneficio», costituto dal contributo e dal vantaggio fiscale postumo; per inciso lo stesso meccanismo di riporto fiscale delle perdite viene qualificato, negli atti, come «a valenza agevolativa», costituendo una deroga al principio di autonomia dei periodi d’imposta.
I rischi e i dubbi interpretativi
Concordare con tali conclusioni è veramente impossibile, per più di un motivo.
In primo luogo, un’attenta analisi del Tuir (si veda anche Il Sole 24 Ore del 14 luglio scorso) smentisce il tentativo di qualificare i contributi in esame alla stregua di «proventi esenti». In secondo luogo, quello che per l’Agenzia sarebbe un «doppio beneficio» a ben vedere è un maleficio: le imprese con un reddito imponibile positivo negli anni della pandemia hanno incassato i bonus e goduto della detassazione degli stessi, mentre quelle in perdita fiscale negli stessi anni hanno sì goduto del contributo ma poi, applicando la tesi delle Entrate, nei periodi successivi avrebbero dovuto renderlo imponibile attraverso un ridotto utilizzo delle perdite. Peraltro, che l’intento del legislatore fosse effettivamente quello di limitare il vantaggio della detassazione dei contributi alle sole imprese con un reddito imponibile positivo negli anni caratterizzati dal Covid-19 (purtroppo ben poche) resta ancora da dimostrare, in assenza di qualunque riferimento in tal senso e senza che nessuna relazione tecnica abbia mai quantificato questo recupero collegato alla minor perdita riportabile.
Fonte: Il Sole 24 Ore