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Al Polo Nord, congelati e felici
La citazione in esergo – «è attraverso il dolore che l’uomo conquista la felicità del futuro» (Fedor Dostoevskij) – suona molto più di una promessa ma Polo Nord. Storia di un’ossessione, scritto dall’esploratore norvegese Erling Kagge, va oltre i confini emozionali, vola più alto del dirigibile di Umberto Nobile, arriva, felice e violento, al cuore più algido. È la cavalcata epica – ci vorrebbe Omero a cantarla – di due uomini, Kagge e Børge Ousland, soli, coraggiosi, affamati di cibo e vita, che il 4 maggio 1990 raggiungono il Polo Nord, dopo 800 chilometri sugli sci, senza l’ausilio di cani, campi base o mezzi motorizzati. Sono i primi a farcela con la sola forza umana.
Il racconto di Kagge intreccia i 58 giorni del loro andare con le avventure che nei secoli precedenti hanno visto decine di uomini tentare la conquista del Polo. Perché tanto fascino per l’ombelico del mondo, che è uno e plurimo, Polo Nord geografico, celeste, magnetico e immaginario? Che dà la sensazione di muoversi nello spazio e nel tempo? «Con pochi passi è possibile fare il giro del mondo attraversando 24 fusi orari. Se si cammina in senso orario, o verso ovest, percorrendo 360° attorno al Polo, all’improvviso ci si ritrova nel giorno precedente. Se ci si volta e si cammina in senso antiorario, verso est, dopo un giro si sarà di un giorno nel futuro». Per Kagge è un’ossessione nata quando riceve in dono a 7 anni il primo mappamondo: «ero innamorato non tanto dell’idea di raggiungere il Polo, quanto di quella di riuscire a superare stenti, gelo, fame e pericoli». Tutto è pianificato in modo millimetrico, ogni errore può essere fatale quando si balla sul filo della vita. Ogni slitta ha 60 razioni quotidiane di carne essiccata, fiocchi d’avena, grasso, cioccolato, latte artificiale in polvere, due decilitri di benzina per il fornelletto da campeggio, due revolver in caso di attacco degli orsi, per un peso totale di 120 chili sufficienti per 70 giorni. La maniacalità è tipica di tutti gli esploratori (le poche donne ricordate sono viaggiatrici in poltrona), come la preparazione scientifica, gli imprevisti, lo spirito primitivo, la tenacia inflessibile, la capacità di attesa e i problemi relazionali con il padre. Anche Kagge parte per cercare il rispetto del genitore.
Quel punto, che in fondo non c’è perché è aria, acqua e ghiaccio, era la terra degli Iperborei, secondo Erodoto; nel Rinascimento e nell’Illuminismo cresce l’interesse per le regioni ignote. Poi, arrivano le prime spedizioni, in un rincorrersi di primati, bugie, abbandoni, giganti di ghiaccio ma resta «il motivo per cui il ghiaccio galleggia invece di finire sul fondale: l’acqua ha una proprietà insolita, il peso, rispetto al volume, diminuisce quando l’acqua si solidifica. La massa ghiacciata pesa, dunque, meno del volume equivalente di acqua». C’è l’idea di navigare fino al Polo, come fa nel 1527 Robert Thorne, e subito la conquista diventa anche una faccenda di puro predominio politico. La febbre artica si alimenta con William Parry e John Franklin, con la marcia di Nansen e Hjalmar, la spedizione di Roald Amundsen o con il dirigibile di Nobile, dal sapore così patriottico.
Ogni metro è una conquista: il ghiaccio è abbastanza solido per camminarci sopra ma si procede solo dopo averci battuto ogni volta tre colpetti di bastoncino; il freddo è così intenso che circolano solo i batteri portati da casa e dunque non serve cambiare la biancheria intima; gli incontri ravvicinati esistono e un’orsa bisogna aspettarla molto vicino perché il revolver, preferito al fucile per portare meno peso, fa il suo lavoro sono a pochi metri, 8 per la precisione. I giorni passano, le riserve diminuiscono e anche un’uvetta caduta nella neve è preziosa: «desideravo così tanto quell’uvetta, che mi misi a quattro zampe, chinai la testa, tirai fuori la lingua e riuscii a prenderla. Nel momento stesso in cui l’uvetta superò le labbra e scivolò lentamente in bocca provai una grandissima felicita. Mentre la masticavo piano, assaporandola, mi ritornò in mente una verità che mi era già nota: la felicità si nasconde nelle cose semplici. Il sapore di una piccola porzione di cibo è buonissimo, quello di una briciola è paradisiaco».
Il 4 maggio l’arrivo: «eravamo così stanchi da non renderci conto che stavamo viaggiando nel tempo. Probabilmente il ghiaccio sotto di noi si era già spostato un po’ rispetto al Polo geografico, per cui il viaggio nel tempo era illusorio». Fascino, fatica e «la gioia che provi quando il dolore fisico ti opprime ancora ma sai che sta per finire. Ti senti ancora intorpidito, ma pian piano avverti il calore. Senti la circolazione che riprende. Sono quell’esperienza e quel pensiero a calamitarmi incessantemente verso la natura». Sulla quale ognuno ha responsabilità pesanti: nell’Artide la temperatura sta aumentando a un ritmo doppio rispetto al riscaldamento globale perché il mare di Barents è ormai libero dai ghiacci, e senza l’effetto riflettente del ghiaccio la sua superficie si riscalda e fa aumentare la temperatura sia sulla terraferma sia sui mari. Dopo 75mila generazioni in cui il Mar Glaciale Artico è stato coperto dai ghiacci, noi potremmo diventare la prima a sperimentare un mare sgombro d’estate. Ma «siamo noi ad avere bisogno del ghiaccio, oggi più che mai».
Fonte: Il Sole 24 Ore