
Alcoltest, vale sempre il risultato più favorevole al conducente
La Cassazione, con la sentenza 24614/2025, torna sulla questione di quale sia il valore da considerare quando le due misurazioni del tasso alcolemico previste per legge danno valori discordanti. E conferma l’orientamento consolidato, per il quale prevale il principio del favor rei, per cui va considerato il più basso dei due. Il caso resta però interessante, perché indica che anche principi ormai acquisiti possono essere disattesi nella pratica quotidiana e dare origine a situazioni giuridiche ingarbugliate.
La vicenda
In questo caso, dalla prima misurazione risultava un tasso alcolemico di 1,56 g/l, dalla seconda 1,32 g/l. Quindi, la prima verifica avrebbe fatto scattare le sanzioni penali massime, previste dall’articolo 186, comma 2, lettera c) del Codice della strada per tassi superiori a 1,5; la seconda quelle sempre penali ma meno gravi, stabilite dalla lettera b) per tassi fra 0.81 e 1,5. Dunque, quando il conducente è stato sottoposto all’alcoltest, si trovava nella fase in cui la curva di assorbimento della sostanza era nella sua fase discendente (tipica di quando l’assunzione non è avvenuta immediatamente prima).
Se nessuno ha lamentato e dimostrato l’inaffidabilità dell’etilometro utilizzato, ciò implica che il conducente mentre guidava aveva un tasso superiore anche al valore più alto tra i due rilevati.
Divergenze ed errori
Per quanto pare emergere dalla sentenza della Cassazione, la Corte d’appello aveva seguito un vecchio orientamento, il quale dà importanza proprio alla curva di assorbimento e quindi in casi del genere presume che il tasso al momento della guida fosse più alto, per cui dà per buono il primo valore rilevato dall’etilometro, il più sfavorevole all’imputato.
In effetti, la norma sulle due misurazioni (articolo 379, comma 2 del regolamento di esecuzione del Codice) stabilisce solo che esse debbano essere concordanti, senza alcuna indicazione su quale debba prevalere quando i due valori siano a cavallo tra una fattispecie più grave e una meno grave. Ciò parrebbe avvalorare la tesi della Corte d’appello.
Fonte: Il Sole 24 Ore