Alla Consulta le sanzioni contro la corruzione
Troppo pesante il trattamento sanzionatorio per la corruzione e tutti i reati contro la pubblica amministrazione. Tanto da chiamare in causa la Corte costituzionale. A farlo è la Cassazione, con l’ordinanza 36356 della Sesta sezione penale, con la quale vengono sollevati dubbi sulla tenuta costituzionale della possibilità di cumulo tra confisca e riparazione pecuniaria prevista dall’articolo 322 quater del Codice penale. Troppo, eccepisce la Cassazione, che interviene sul caso di un appartenente alla Guardia di finanza, condannato per corruzione sia alla confisca diretta e per equivalente del prezzo del reato sia alla riparazione in misura pari all’importo oggetto di confisca.
L’ultimo intervento normativo in materia è da attribuire alla legge “spazzacorrotti”, la n. 3 del 2019, con la quale l’ambito applicativo dell’istituto della riparazione pecuniaria è stato esteso anche al privato corruttore. Inoltre, al posto dell’originaria previsione che faceva riferimento a «quanto indebitamente ricevuto», si è previsto che l’obbligazione deve essere parametrata a una somma equivalente al prezzo o al profitto del reato.
L’orientamento della Cassazione
La Cassazione sottolinea come l’interferenza delle norme ha come conseguenza che la confisca, diretta o per equivalente, deve essere disposta unitamente alla riparazione pecuniaria. Con la conseguenza per cui il condannato è sottoposto a un raddoppio di obblighi che, anche se di diversa natura, provocano l’effetto di sottrarre al condannato un valore doppio rispetto a quello indebitamente conseguito dal reato.
E allora se «non è controvertibile l’esigenza di privare l’autore del reato dei proventi illecitamente conseguiti», tuttavia «l’ulteriore imposizione di una sanzione pecuniaria, parametrata sul medesimo valore, diviene lesiva del principio di proporzionalità nella misura in cui il reato già è assistito da un corredo sanzionatorio adeguatamente afflittivo».
Funzione punitiva della riparazione
La Cassazione, del resto, sposa la tesi di una funzione essenzialmente punitiva della riparazione pecuniaria. Quest’ultima infatti prescinde totalmente dalla richiesta del danneggiato, comporta un obbligo di pagamento predeterminato nella cifra e non suscettibile di graduazione da parte del giudice e, inoltre, va ad aggiungersi a un corredo di sanzioni penali particolarmente afflittive. L’aggiunta della riparazione pecuniaria, da un lato, va a intaccare il patrimonio del condannato privandolo di valore pari a quello che gli è già sottratto per effetto della confisca, dall’altro, aggiunge una sanzione punitiva a un trattamento già considerato adeguato.
Fonte: Il Sole 24 Ore