Anche dopo il decreto Cutro, no all’espulsione del migrante se viola la vita privata e familiare
Il cosiddetto decreto Cutro – approvato sulla scia del naufragio di un’imbarcazione nel quale, a febbraio 2023, sono morti 94 migranti, di cui 34 bambini – non ha inciso sul diritto al rispetto dellavita privata e familiare. Il giro di vite della norma, tesa a contrastare l’immigrazione irregolare, attraverso l’inasprimento delle regole per ottenere i permessi di soggiorno per protezione speciale, non impedisce, infatti, di riconoscere allo straniero irregolare la «protezione complementare», in caso di un effettivo radicamento sul territorio, se il suo allontanamento può integrare una violazione del diritto alla vita familiare o privata. La Cassazione affida a unasentenza di 43 pagine, larisposta al quesito pregiudiziale, sollevato dal Tribunale di Venezia.
Il no della Commissione territoriale
Alla base della questione posta alla Suprema corte, il ricorso di un immigrato senegalese, al quale la commissione territoriale aveva negato la protezione internazionale. I dubbi del Tribunale erano relativi alla possibilità di dare comunque un peso alla tutela della vita privata e familiare dopo il colpo di spugna passato, con il Dl Cutro, sull’articolo 19, comma 1.1., terzo e quarto periodo, del Testo unico sull’ immigrazione (Dlgs 286/1998), cancellando le parti, introdotte nel 2020, che ampliavano il raggio d’azione sul divieto di espulsione.
La risposta della Cassazione
Netta la risposta della Cassazione. La Suprema corte chiarisce, infatti, che «la rivisitazione, a opera del decreto legge n. 20 del 2023, convertito nella legge n. 50 del 2023, dell’istituto della protezione complementare non ha determinato il venir meno della tutela della vita privata e familiare dello straniero che si trova in Italia, tanto più che il tessuto normativo continua a richiedere il rispetto degli obblighi costituzionali e convenzionali». Gli ermellini precisano, dunque, che «la protezione complementare può essere accordata in presenza di un radicamento del cittadino straniero sul territorio nazionale sufficientemente forte da far ritenere che un suo allontanamento, che non sia imposto da prevalenti ragioni di sicurezza nazionale o di ordine pubblico, determini una violazione del suo diritto alla vita familiare o alla vita privata». Con l’ulteriore precisazione che «nessun rilievo ostativo assume il fatto che tale radicamento sia avvenuto nel tempo necessario a esaminare le domande del cittadino straniero di accesso alle protezioni maggiori».
La tutela della vita privata e familiare – sottolineano i giudici di legittimità – esige comunque una valutazione di proporzionalità e di bilanciamento nel caso concreto, secondo i criteri elaborati dalla Corte Edu e dalla pronuncia aSezioni Unite 9 settembre 2021, n. 24413. Pesano, dunque, i legami familiari sviluppatiin Italia, la durata della presenza della persona sul territorio nazionale, le relazioni sociali intessute, il grado di integrazione lavorativa realizzato e il legame con la comunità anche sotto il profilo del necessario rispetto delle sue regole.
Tutti elementi che vanno messi «in comparazione con l’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il paese d’origine e con la gravità delle difficoltà che il richiedente potrebbe incontrare nel paese verso il quale dovrebbe fare rientro».
Fonte: Il Sole 24 Ore