Anche la morte del feto va risarcita per la perdita del rapporto parentale

Anche la morte del feto va risarcita per la perdita del rapporto parentale

La morte di un feto per responsabilità sanitaria causa ai genitori un danno da perdita del rapporto parentale. Lo ha deciso la Cassazione (Terza sezione civile, ordinanza 26826/2025 depositata lunedì 6 ottobre) sul caso di una giovane donna, giunta alla 41ª settimana di gravidanza e ricoverata con chiari segni di sofferenza fetale.

La vicenda

Nonostante le evidenze cliniche e le ripetute richieste di intervento, i sanitari avevano omesso di procedere tempestivamente al parto cesareo, eseguendolo solo la mattina successiva. Il feto nasceva ormai privo di vita per grave asfissia perinatale. In primo grado, dato che il feto era nato morto, era stato riconosciuto ai genitori il minimo previsto dalle Tabelle di Milano: 165mila euro ciascuno, importo poi dimezzato in appello, dove la perdita era stata qualificata come relazione affettiva solo potenziale.

L’orientamento della Cassazione

Per la Cassazione, la relazione genitoriale nasce già durante la gestazione e si consolida progressivamente, sicché la morte del feto per condotta colposa dei medici lede un rapporto affettivo reale ed attuale, radicato nella sofferenza interiore dei genitori e nella loro quotidianità futura. La Corte richiama la propria ordinanza 26301/2021 e ribadisce che il danno va qualificato nella sua duplice dimensione: da un lato la sofferenza morale soggettiva (dolore e lacerazione interiore), dall’altro il danno dinamico-relazionale (alterazione di abitudini e percorsi di vita). Dimezzare automaticamente i valori tabellari per il solo fatto che il feto non sia venuto alla luce vivo è quindi errato. E contrasta coi principi costituzionali di tutela della maternità e della vita (articolo 2, 29, 30 e 31) e con l’articolo 8 della Cedu, che protegge la vita familiare.

La Cassazione conferma che le Tabelle di Milano sono il parametro vincolante per tutti i giudici di merito, in quanto forma di “equità paritaria” per garantire uniformità di trattamento e prevedibilità delle decisioni. Il giudice può discostarsene solo con motivazione espressa ed adeguata alle peculiarità del caso concreto. Così, nel giudizio di rinvio, la Corte d’appello dovrà ricalcolare il risarcimento applicandone integralmente i valori e personalizzando la liquidazione in base alla particolare sofferenza dei genitori. Secondo il principio di diritto affermato dalla Cassazione stabilisce pure che la sofferenza per la perdita del figlio, anche non nato, è danno parentale pienamente risarcibile, poiché il legame genitoriale si radica ben prima della nascita.

Fonte: Il Sole 24 Ore