
Anche l’Italia lavora a un piano per gli ospedali in caso di attacco militare
Il conflitto Ucraina-Russia e i sussulti che si propagano – l’ultimo i droni abbattuti in Polonia – fino a un possibile allargamento all’intera Europa delle ostilità militari con un coinvolgimento della Nato, hanno cominciato a mettere in allarme i Paesi europei anche sul fronte della preparazione della rete ospedaliera nel caso dello scenario peggiore o cioè quello di un attacco militare. Francia e Germania hanno già iniziato a mettere a punto le loro strategie nell’accogliere i soldati feriti. Ma anche l’Italia ha iniziato a muovere i primi passi: è stato istituito un tavolo tecnico al ministero della Salute che si è già riunito un paio di volte e sono cominciate le prime interlocuzioni per una “strategia sulla resilienza in campo sanitario” in caso di attivazione del Trattato della Nato che si base su tre fasi che va dall’arrivo delle truppe al rientro dei feriti.
Le iniziative di Francia e Germania per la rete ospedaliera
Come detto nelle settimane scorse Francia e la Germania hanno avviato una strategia sulla preparazione delle rete ospedaliera nell’accogliere soldati feriti. Una circolare del ministero della Salute francese ha comunicato alle agenzie regionali della sanità sul territorio di preparare l’installazione, in caso di necessità, di strutture sanitarie in collaborazione con il ministero della Difesa, affinché – viene riportato dal settimanale Le Canard Enchainé – gli ospedali civili possano prepararsi a un eventuale afflusso importante di militari feriti. In Germania è stato presentato un piano con lo stesso scopo: preparare gli ospedali all’eventualità di un conflitto su larga scala in Europa. In Germania è stato presentato un piano con lo stesso scopo: preparare gli ospedali all’eventualità di un conflitto su larga scala in Europa. E in Italia? Su questo fronte c’è una regia tra Palazzo Chigi (in particolare il sottosegretario Alfredo Mantovano) e il ministero della Difesa. Ma sul fronte sanitario è già in campo anche il ministero della Salute che con un apposito decreto di aprile scorso ha istituito presso l’ufficio di gabinetto un Tavolo permanente in materia di resilienza di soggetti critici composto di dieci membri che si è riunito una prima volta a inizio giugno e poi una decina di giorni fa.
Il tavolo al ministero della Salute e la strategia d resilienza
Il decreto (che attua il Dlgs 134/2024 a sua volta in attuazione di una direttiva europea) prevede che tra i compiti del Tavolo tecnico ci sia anche quello di “definire una strategia sulla resilienza in campo sanitario che stabilisca ruoli e responsabilità dell’insieme degli organi, istituzioni ed enti coinvolti nella predisposizione di piani e misure di preparedeness & response per la gestione di emergenze sanitarie su vasta scala”. Il decreto fa anche due esempi concreti e cioè eventi C.R.B.N. (Chimici, radiologici, biologici e nucleari)” o anche – è il caso che più si lega all’attualità – “scenari di crisi come ad esempio in caso di attivazione degli articoli 3 e 5 del Patto Atlantico”. Il primo in particolare impegna i Paesi della Nato a sviluppare le loro capacità di resistere a un attacco armato attraverso lo sviluppo delle proprie risorse e la reciproca assistenza, mantenendo così una continua e effettiva autodifesa. Mentre l’articolo 5 è la chiave del sistema di difesa collettiva e stabilisce che un attacco armato contro uno o più Paesi dell’Alleanza in Europa o Nord America è considerato un attacco contro tutti, portando all’assistenza reciproca, anche con l’uso della forza, per ripristinare la sicurezza.
Il possibile scenario in tre fasi
Tra le finalità di questo tavolo costituito al ministero della Salute c’è anche quella di “rafforzare la collaborazione civile-militare in campo sanitario” a esempio “promuovendo percorsi formativi comuni ed esercitazioni congiunte o definendo piani operativi e linee guida condivise per la gestione della catena di comando durante eventi catastrofici”, avverte ancora il testo del decreto istitutivo. In questo senso dalle prime riunioni è emerso come la Nato richieda specifici requisiti per l’assistenza sanitaria nei Paesi membri (chiamati “Minimum operational requirements”) che gli ospedali italiani sono sicuramente in grado di assicurare. Inoltre si è cominciato a discutere di un ipotetico scenario di “host nation support” con mobilità militare in tre fasi: dalla preparazione per l’arrivo delle truppe, alla mobilità all’interno del Paese fino appunto alla partecipazione a fasi attive di combattimento all’estero con il possibile rientro di feriti. Su questi primi elementi potrebbe essere costruito il piano italiano da attivare nella nostra rete ospedaliera in caso appunto si verificasse lo scenario limite di un conflitto militare.
Fonte: Il Sole 24 Ore