Angelo Moratti acquista il 10% di Lampoon

Angelo Moratti acquista il 10% di Lampoon

Ha solo dieci anni, ma ha già cambiato pelle più volte, come si addice ai nostri tempi accelerati. Lo ha fatto però mantenendo una coerente visione d’insieme, che potremmo chiamare anima, a immagine e somiglianza del suo fondatore, Carlo Mazzoni. Parliamo di Lampoon, magazine nato nel 2015 come trimestrale cartaceo (con gemello digitale,in costante e parallelo aggiornamento), poi diventato semestrale per la versione in edicola, sempre più corposa e simile a un coffee table book che a una rivista. Questa “coerenza nel cambiamento” è stata notata a da Angelo Moratti, che ha deciso di acquistare il 10% del capitale della Lampoon Publishing House e per la sua società, la Angel Capital Management (Acm), è il primo investimento dell’editoria. «La Acm è una società di investimento, ma le ho dato e mi sono dato dall’inizio una serie di obiettivi e principi che la rendono, credo, speciale – racconta Moratti, classe 1963 –. Vengo da una famiglia di imprenditori che ha sempre coniugato traguardi economici e di creazione del valore con contributi sociali e culturali. Ho imparato da mio nonno Angelo e poi da mio padre Gian Marco a mettere sempre al centro le persone e Lampoon è un buon esempio. Ho osservato il lavoro e la determinazione di Carlo Mazzoni e condivido la sua visione dell’editoria, che deve contribuire a renderci persone più informate e responsabili e quindi cittadini migliori».

La moda come argomento da rispettare

Lampoon, come spiega con orgoglio il suo fondatore, è nata come rivista di moda (oggi si direbbe lifestyle), ma senza alcun complesso di inferiorità per altri temi o settori. «Siamo l’unico Paese in Europa e forse nel mondo ad avere una filiera del tessile-abbigliamento di media e alta gamma che copre di fatto ogni fase della trasformazione, un volano economico e di immagine che viene ancora e, per me, incredibilmente, sottovaluto e sicuramente poco approfondito – spiega Carlo Mazzoni -. Poi ovviamente c’è la parte creativa, che io considero da sempre magica e che non appartiene solo agli uffici stile, ma anche alle Pmi che trovano modi sempre nuovi di lavorare i tessuti o di cambiare in meglio i processi». Carlo Mazzoni aveva 35 anni quando lanciò Lampoon: è un “quasi nativo digitale” che vide, nel 2015, tutti i vantaggi di un’osmosi tra editoria cartacea e comunicazione e marketing digitale. «La rivista mi esplose in mano: gli investitori pubblicitari colsero l’originalità del progetto e le sue ambizioni sulla qualità di immagini, contenuti, scrittura e di ogni dettaglio, dalle didascalie all’impaginazione – ricorda Mazzoni -. Forse quasi senza saperlo colmammo un vuoto e nel 2017 arrivammo ad avere due milioni di raccolta pubblicitaria, davvero notevole per una start up dell’editoria. Ebbi paura di smarrire l’anima della rivista e forse la mia. Così cambiammo periodicità e cercai collaboratori nuovi ma di vecchia scuola e tornai ad avere come bussola solo la qualità, non i record di raccolta. Non sono un filantropo, la società deve essere economicamente solida, ma voglio che resti una voce ben distinta nel confuso panorama attuale e che si occupi, appunto, di sostenibilità».

Focus sulla qualità e sull’unicità

Obiettivo condiviso da Angelo Moratti: «La società che ho fondato fornisce risorse economiche, ma soprattutto di know how. Credo nelle capacità creative e imprenditoriali delle generazioni più giovani della mia ma rispetto ad altri Paesi, come Francia e Regno Unito, non si fa abbastanza per sostenerli. Faremo crescere Lampoon in Italia e all’estero». C’è davvero bisogno di una rivista di moda in un momento di crisi come questo, che lambisce anche l’alta gamma? Mazzoni è in Giappone e Moratti a Londra, ma è come se rispondessero all’unisono: «Proprio perché la moda è in crisi di vendite e di immagine va raccontata in modo diverso, partendo dai valori della sostenibilità sociale e ambientale. La moda deve cambiare, deve sapere raccontare con onestà il suo percorso e deve rendere tutti più consapevoli di cosa compriamo e perché».

Fonte: Il Sole 24 Ore