«Asbestosi nota dal 1943»: risarcimento ai familiari del lavoratore vittima di amianto

«Asbestosi nota dal 1943»: risarcimento ai familiari del lavoratore vittima di amianto

L’asbestosi è stata inserita tra le malattie mortali già dal 1943, il giudice non può dunque negare il risarcimento per la morte del lavoratore affermando una scarsa consapevolezza dei rischi da parte del datore di lavoro. La Cassazione accoglie così il ricorso della moglie e dei tre figli di un “acquaiolo”, che aveva lavorato per 35 anni, dal 1961 al 1996, con tubi di eternit, esposto alle fibre cancerogene dell’amianto senza protezioni. Nel 2012 è morto di carcinoma polmonare, dopo una diagnosi di asbestosi al 10%, poi all’85% e infine al 100%.

L’Inail, come il Ctu, avevano riconosciuto la natura professionale della malattia. Conclusioni avallate dal giudice del lavoro che aveva condannato il Consorzio di bonifica per il quale lavorava l’operaio a risarcire i familiari con circa 900mila euro.

Un verdetto completamente ribaltato in appello. La Corte territoriale, infatti, aveva escluso il diritto al risarcimento pur avendo accertato, in base alla perizia, «che il lavoratore era stato posto con elevata frequenza a contatto con serbatoi e tubazioni realizzati in cemento amianto su cui eseguiva interventi di manutenzione e riparazione; che non risultavano adottate adeguate misure di prevenzione nell’ambito della sorveglianza sanitaria del lavoratore medesimo». Neppure era servito il riconoscimento da parte dell’Inail dell’asbestosi – degenerata nel tempo in carcinoma con metastasi – come malattia di origine professionale.

Il tempo trascorso dalla fine del lavoro

Per i giudici di seconda istanza un ricorso proposto dagli eredi dopo oltre 20 anni dalla fine del rapporto di lavoro, rendeva difficile al datore provare il rispetto degli obblighi di prevenzione e sicurezza. A giocare contro il sì al risarcimento c’era, ancora una volta, il tempo: il lavoro era iniziato nel 1961 e si era concluso nel 1996. Non si potevano, dunque, applicare in via retroattiva la normativa di difesa dall’amianto entrata in vigore con i Dlgs 626/94, 81/2008, e 106/2009. Nè poteva essere valorizzata la precedente disciplina del Dpr 303/1956 che si riferiva solo alle polveri in generale. Secondo la Corte di appello, solo a partire dagli anni 1991/92 si poteva considerare un fatto notorio la correlazione causale fra l’esposizione a fibre d’amianto e il carcinoma polmonare.

Fonte: Il Sole 24 Ore