
Assovini lancia il Manifesto del vino siciliano
E’, se volete, un nuovo inizio. Un percorso che recupera tutto ciò che di buono è stato fatto in questi anni ma che cerca itinerari nuovi in un unico percorso di modernizzazione del sistema. Protagoniste, il più delle volte, sono le donne e al loro fianco si trovano le nuove generazioni di produttori con un punto di vista fresco e attento ai nuovi gusti. Così il settore vitivinicolo siciliano guarda al futuro e lo fa su quattro assi principali: enoturismo, sostenibilità, consumo consapevole, qualità produttiva.
Il manifesto del vino siciliano
Che sono poi i punti fermi del manifesto sul futuro del vino lanciato nel corso di Sicilia en Primeur 2025, la manifestazione ideata da Assovini Sicilia e arrivata alla XXI edizione, cui hanno partecipato oltre 100 giornalisti provenienti da tutto il mondo coinvolti in undici enotour. Non è un momento facile, come è abbastanza evidente senza dover ricordare tutti i fattori che remano oggi contro il vino, non solo siciliano ovviamente. Ma come sempre accade i momenti complicati sono quelli in cui si ragiona su nuove strategie, su nuovi obiettivi: «Oggi è fondamentale tornare alle nostre radici per riflettere e rispondere alle sfide future – dice Mariangela Cambria, presidente di Assovini Sicilia (un centinaio le cantine dell’isola aderenti) -. La prossima sfida non è solo mantenere alta la qualità della produzione vinicola e investire in sostenibilità, ma anche tutelare il valore culturale contro dinamiche internazionali restrittive, contro un pensiero che criminalizza un prodotto di civiltà, conoscenza, bellezza e tradizione».
Il cambiamento in atto
Punti di partenza, come si vede, che cominciano a fare i conti con stimoli e ragionamenti che arrivano da chi osserva le dinamiche di cambiamento del vino siciliano, di un settore che è il pezzo forte dell’agroalimentare siciliano che deve al vino, appunto, la crescita dell’export negli ultimi anni. I produttori lo sanno e scacciano i timori cercando nuove strade. Alcune le propone Andrea Lonardi, master of wine, che puntella il manifesto programmatico con dodici parole chiave che cominciano tutte per S: da Storia a Sociale, da Sostenibile a Sito (la forza del luogo) a Stile. Da qui un’analisi che evidenzia certo i punti deboli del sistema siciliano ma anche, o forse soprattutto, i punti di forza che lo rendono unico. «Dal 2000 a oggi la superficie mondiale vitata è passata da 7,8 milioni di ettari a 7,2 milioni, con una riduzione del -7,6%. Nello stesso periodo, la superficie italiana è passata da circa 720 mila ettari a 630 mila, con un calo del 12%. La Sicilia ha subito una contrazione ancora più marcata, ben oltre l’andamento delle altre regioni italiane, che l’ha portata a perdere il 30% della superficie vitata, passando da oltre 140 mila ettari a circa 97 mila – dice Lonardi -. Nello stesso periodo la Sicilia da grande produttrice di vini sfusi ha promosso sempre di più la commercializzazione di vini in bottiglia grazie anche al prezioso lavoro svolto dalla creazione della Doc Sicilia e da alcune importanti cantine sociali che hanno intrapreso questo importante processo di creazione di valore. Grazie all’incremento dell’imbottigliato oggi la messa in bottiglia assorbe il 60% della superficie vitata della regione. Il consumo mondiale di vino, è passato da 250 milioni di ettolitri nel 2007 a 221 milioni nel 2023 (-11,6%), e se a questo aggiungiamo che 4 dei principali mercati per il consumo di vino mondiale ed anche siciliano (Usa, Italia, Germania, Regno Unito) sono tutti in calo, questo ci impone di pensare che il futuro del vino siciliano è complesso come quello di altre importanti regioni del mondo».
I punti di forza: vitigni autoctoni e identità
Detto questo è ovvio che non si può non considerare i punti forti che in Sicilia sono (anche) i vitigni autoctoni: Grillo, Frappato, Nero d’Avola, Carricante, Nocera, Nerello, Perricone e Catarratto. «La storia di questi ultimi 25 anni ci lascia tre importanti messaggi chiave – aggiunge Lonardi -. Il ritorno ai vitigni autoctoni come leva identitaria per raccontare i diversi territori, strumento per avere varietà più adatte al clima mediterraneo e al cambio climatico. L’Etna è diventata la zona più conosciuta e con il maggiore valore reputazionale, ma non può essere l’unica a sostenere l’immagine del vino siciliano ma servono altre aree con identità precise. Luoghi con un forte legame tra vitigno, territorio, clima, paesaggio ed identità del vino. In questa direzione ci sono alcuni importanti contesti che stanno lavorando per contribuire a creare un itinerario dell’identità siciliana (tra queste vanno ricordate Monreale, Vittoria, le Madonie e Pantelleria)». Ma su questo fronte non mancano le esperienze di chi parte da radici solide in territori storici del vino e ha saputo cogliere le opportunità offerte dall’Etna come la cantina Alessandro di Camporeale, azienda vitivinicola nata e cresciuta tra le colline della valle del Belìce, nel territorio della Doc Monreale, oggi gestita dalla quarta generazione, tre cugini: «Noi siamo una media azienda – dice Benedetto Alessandro, 37 anni – con radici solide nel territorio della Doc di Monreale e pesniamo che il legame con il territorio sia la cosa principale. La Sicilia è un continente e il vino deve saper raccontare i territori con nuove strategie di comubnicazione, con gli eventi, provando ad attrarre le nuove generazioni. E’ quello che abbiamo fatto a Camporeale ed è quello che facciamo sull’Etna, sul versante Nord-Est del vulcano, dove abbiamo lanciato Generazione Alessandro su unarea di 10 ettari, di cui sette già in produzione: oggi facciamo 40mila bottiglie ma puntiamo a 60mila».
Un obiettivo: ricostruire la base
E’ solo una delle numerose esperienze: in fondo l’elite di un sistema più vasto che necessita di altri interventi. Non è un caso che una delle parole chiave di Lonardi sia “Sociale: ricostruire la base”: «Se da un lato alcune famiglie siciliane rappresentano oggi un motore fondamentale per il vino siciliano sui mercati internazionali, ciò che è venuto a mancare è il ruolo delle cantine sociali. Queste sono strumenti fondamentali per preservare la coltura e la cultura della vite e del vino – dice Lonardi -. Il rilancio delle cantine sociali deve considerare che gli interventi pubblici a sostegno dell’industria del vino saranno sempre meno; non si può più basare tutto su questo approccio ma servono programmazione e capacità di sviluppo di piani industriali. Servono piani di consolidamento/aggregazione non solo attraverso progetti di verticalizzazione, ma anche per poter accedere a determinate competenze manageriali. Occorre un dialogo più strategico e strutturato con le famiglie leader del vino siciliano, per definire ruoli complementari dal punto di vista produttivo e commerciale. Il rilancio della cantine sociali è un obbligo per coltivare e trattenere una generazione di nuovi viticoltori necessari per mantenere viva una regione dal punto di vista socio-economico e culturale». Come si vede siamo solo all’inizio.
Fonte: Il Sole 24 Ore